Parte da Cardiff il tour dei fratelli Gallagher tra nostalgia e il bisogno di guadagnare milioni. Ma per la band simbolo di un movimento non è un vero ritorno
Quando milioni di fan si sono connessi virtualmente lo scorso agosto per cercare di accaparrarsi un biglietto del nuovo tour, in pochi hanno perso tempo a riflettere su cosa ci fosse dietro la decisione di Noel e Liam Gallagher di tornare a suonare e cantare insieme.
Se dietro la reunion degli Oasis ci fosse nostalgia, o l’estremo tentativo dei due fratelli di sopravvivere culturalmente e musicalmente in un mondo, quello attuale, ormai sideralmente lontano dagli anni Novanta, dagli anni del loro britpop.
Oppure, ipotesi più banale e allo stesso tempo più probabile, se fosse solo dettata dal desiderio dei Gallagher di guadagnare milioni di sterline salendo sui palchi e suonando. Che poi è quello che sanno fare meglio, oltre, certo, a litigare e tifare Manchester City.
Del resto il motivo non era e non è importante. E il loro, in fondo, non è neanche un vero ritorno, nonostante questa sera – dopo il loro scioglimento del 2009 – siano attesi al Principality stadium di Cardiff per la prima delle due date gallesi. Poi Manchester, Londra, Edimburgo e infine Dublino. Prima di volare in Nord America, in Asia, in Oceania e in Sudamerica.
Non è un vero ritorno perché alla fin fine, gli Oasis non sono spariti nel 2009. Né lo hanno fatto Noel e Liam Gallagher. A prescindere dalle loro carriere soliste, scivolate via, in maniera più o meno lenta, negli ultimi 15 anni. Hanno vissuto traiettorie opposte: un Noel subito più performante, un Liam quasi disorientato dal distacco della band che faceva fatica a riempire locali da poche migliaia di persone nei tour fuori dal Regno Unito. Poi, però, negli anni Noel si è perso tra sperimentazioni musicali mai davvero convincenti. Al contrario, Liam ha ingranato superando problemi di voce e inanellando concerti da centinaia di migliaia di persone. Come a Knebworth nel 2022.
Gli Oasis non se ne sono mai andati in questi anni non tanto perché a ogni live i due fratelli infilavano, inevitabilmente, le loro canzoni simbolo nelle scalette, ma perché la sottocultura legata al britpop e al mondo casual, dentro cui i Gallagher sono nati e invecchiati, non è scomparsa o passata di moda. Tutt’altro, è stata custodita e portata avanti dagli eredi degli immortali Mods, dentro e fuori i confini britannici.
Nel Regno Unito è evidente. È un movimento diffuso, che si imbeve della tradizione musicale britannica. Basta entrare in qualche pub o in semplici locali, dal centro di Londra fino ai sobborghi di Middlesbrough, per capirlo. In Europa, Italia in primis, lo si nota forse maggiormente negli stadi e nelle curve calcistiche. Ma non solo. Pub, stadi, posti simbolo di quella working class su cui la carriera dei Gallagher si è sempre appoggiata, pur col tempo diventando molto altro.
Luoghi dove una polo Fred Perry, una scarpa Adidas, un parka Stone Island sono la consuetudine e un simbolo di appartenenza. Di un mondo in cui, musicalmente, gli Oasis sono ancora tra i padroni, sebbene siano stati sciolti per 15 anni. Lì non se ne sono mai andati.
E non ha importanza se oggi i due fratelli Gallagher non hanno veramente superato i loro dissapori. A tal punto da dover firmare clausole apposite nei contratti, da dover vivere vite separate durante il tour per scongiurare litigi. Stesso motivo per cui i due fratelli sarebbero pagati, milioni su milioni, solo dopo ogni concerto. E per cui non hanno potuto rilasciare dichiarazioni o interviste pubbliche in questi 11 mesi trascorsi dall’annuncio della reunion.
È stato lo stesso Liam, sempre loquace e diretto su X pur con un vocabolario tutto suo, a spiegare che non hanno voluto fare interviste «per paure di domande intrusive» che potessero minare la loro relazione. Non ha importanza. Finché saliranno sul palco insieme, per generazioni di vecchi fan, o anche di ragazzi e ragazze che non hanno mai visto loro live insieme, non ha importanza. La fila virtuale, diventata fisica fuori i tornelli dello stadio di Cardiff, lo dimostra. Perché, nostalgia o velleità pecuniarie, poco importa. L’importante è esserci, «right here, right now».
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