Chi è quello strano personaggio che si aggira per le strade di Montparnasse: un leggendario eroe dell’antica Grecia, un eccentrico giapponese con un abat jour sulla testa, o un elegante signore snob vestito con abiti femminili? 

Non è l’incipit di un romanzo giallo: è il pittore giapponese Tsuguharu Foujita (1886-1968), uno dei più apprezzati e ricercati artisti degli anni ’20, vissuto nel periodo di transizione tra la belle époque e le grandi guerre, raccontato nel testo di Antonella Basilico “Foujita, un artista e le sue vite”, Gangemi Editore Roma, 2023.

Considerato in patria uno degli artisti contemporanei più importanti, riconosciuto internazionalmente come esponente di spicco dell’arte moderna (le sue opere hanno quotazioni molto alte), Foujita in Italia non ha avuto un riscontro pari alla sua fama. Poco o nulla si sa di lui e l’autrice, con la sua monografia, ha provato a colmare questo vuoto approfondendo la sua parabola artistica ed esistenziale, invero più unica che rara.

Foujita è stato un pittore cosmopolita che ha voluto riportare al centro della sua arte un'idea antica e universale: l’anima. Ma non è stato né un mistico né un contemplativo, piuttosto un orientale consapevole e un occidentale lucido e pragmatico, un maestro insofferente verso le etichette di gruppo, capace di elaborare una poetica personale tra rincorsa del mito impressionista, primitivismo fantastico e isolamento feroce.

I suoi confini geografici cambiavano continuamente, prima di stabilirsi definitivamente in Francia ha vissuto e lavorato negli Stati uniti, in America latina, in Africa e in Europa (in Italia, nel ’51, ha creato per la Scala i costumi e le scene della Madame Butterfly interpretata della Callas). Anche sul piano artistico Foujita ha cambiato continuamente temi, linguaggi e tecniche, sfuggendo ad ogni collocazione. Un artista totale che è stato pittore ma anche scultore, incisore, fotografo, cineasta, ceramista, scenografo, sarto.

Con un’intuizione molto in avanti nei tempi capisce che per essere conosciuto doveva essere riconosciuto, mettendo in atto una precisa strategia per diventare personaggio: adotta atteggiamenti stravaganti, ha una buffa pettinatura, occhiali tondi di tartaruga, spesso indossa gioielli e abiti femminili che cuce da sé, si fa tatuare un orologio. In lui pervade il desiderio di sedurre, comprende che avere talento non è sufficiente, bisogna sapere come promuoversi e forgia sé stesso come un’opera d’arte. Il suo piano ha successo, ma rischia di essere catturato e di rimanere prigioniero del suo stesso gioco, del suo personaggio, subendo pesanti critiche, personali e alla propria arte, anticipando di anni i paradigmi e gli effetti di una comunicazione sociale oggi più che mai contemporanea.

Foujita è stato un artista che è passato ripetutamente dal trionfo al crollo, dall’apoteosi a roventi critiche (dopo la seconda guerra mondiale fu anche accusato di militarismo e considerato un “criminale di guerra”). Muore a 82 anni, dopo essersi convertito alla religione cattolica, battezzandosi e contemporaneamente sposandosi nella cattedrale di Reims, prendendo il nome di Leonard, in onore di Leonardo da Vinci, con cui firmerà le ultime opere.

L’essere un orientale fino al midollo e al contempo un personaggio attivo e profondamente partecipe del mondo occidentale hanno reso Foujita, con le sue molte vite, un autorevole cittadino del mondo dell’arte.

© Riproduzione riservata