Quando sono nato, nel 1958, Venezia contava 150mila abitanti. L’ho vissuta per la prima volta dal 1974 al 1977 quando ero allievo del Collegio navale Francesco Morosini. Allora gran parte degli alberghi chiudeva all’inizio di novembre e riapriva a Pasqua. Il primo turismo era rappresentato dalle gite scolastiche, ma con il ponte dei morti i turisti sparivano. Poiché il carnevale sarebbe stato reintrodotto solo qualche anno dopo, per cinque mesi gli abitanti riuscivano a riappropriarsi della loro città.

Il loro numero, già ridotto a 100mila, in buona parte era impiegato nelle grandi società di servizi o occupato nelle fabbriche “veneziane”, dalla Manifattura tabacchi alla Junghans, all’Arsenale. Venezia era una città produttiva. Il suo degrado architettonico era evidente (e per averne un’idea basta rivedere il film Anonimo Veneziano, da un bellissimo racconto di Giuseppe Berto, del 1970).

Sono tornato a rivivere la città nel 2002: gli abitanti erano poco più di 60mila e l’economia concentrata solo sul turismo. In compenso il patrimonio immobiliare era, e ora lo è ancor di più, straordinariamente ben recuperato. Attualmente la situazione si è ulteriormente evoluta. A fronte di oltre 13 milioni di turisti all’anno, i residenti nel 2022 sono meno di 50mila. La loro scomparsa è stimata al massimo in un paio di decenni.

Fotografie

Non sono un sociologo, ma la diaspora a chilometro zero dei veneziani dovrebbe far riflettere. Lo dimostra il numero complessivo dei residenti di Venezia e Mestre che è rimasto sostanzialmente costante negli ultimi decenni. La mancanza di visione e di strategie di tutte le amministrazioni che si sono succedute a partire dalla fine degli anni Settanta ha prodotto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Il progetto delle mie fotografie nasce da queste premesse.

Avviato nel 2006, Venice Urban Photo Project ha l’ambizione di documentare la città come appare all’inizio del nuovo millennio, ponendo l’accento sul problema del suo spopolamento attraverso immagini prive di persone.

Nonostante le numerose trasformazioni avvenute nella città lagunare durante il secolo scorso – tante da poter affermare, per quanto paradossale possa sembrare, che il suo centro storico è stato tra i più edificati o trasformati del Novecento – finora non si è mai realizzata una campagna fotografica organica dedicata alla rappresentazione dell’intero tessuto urbano di Venezia in grado di descriverne la straordinaria complessità e continuità.

Tutte le città – e Venezia in particolare – sono ormai consultate e non viste. La simulazione urbana, anche se di origine fotografica, sostituisce l’esperienza reale. Nessuno sa più guardare la città dal vero. Da qui l’esigenza di recuperare una forma di rappresentazione classica in grado di descrivere il più minuziosamente possibile un contesto urbano così articolato e così fragile.

Un’altra architettura

Sino a quando palazzo Grassi ha deciso di presentare le mie immagini nella mostra Hypervenezia nell’ambito delle celebrazioni dei 1.600 anni dalla fondazione di Venezia, non mi sono mai considerato un fotografo, anche se alla fotografia ho dedicato gran parte della mia attività professionale, in qualità di editore, curatore e gallerista. Credo di poter dire che ho fotografato per una mia necessità.

Negli anni ho avuto la fortuna di lavorare con molti fotografi dalle caratteristiche estremamente diverse tra loro, da Gianni Berengo Gardin a Helmut Newton, per indicare due personalità estremamente diverse fra loro. A ognuno di questi incontri e ad altri avvenuti solo sui libri, devo qualcosa. Molto spesso nelle mie immagini i riferimenti sono facilmente individuabili, come nel caso di Charles Marville, Gabriele Basilico e Bernd e Hilla Becher. In altri casi il legame appartiene alla concezione stessa del progetto, come l’insistenza ossessiva dello sguardo di Nobushi Araki, oppure il rispetto assoluto verso il soggetto, qualsiasi esso sia, di Pentti Sammallahti.

Inoltre tentare di documentare sistematicamente tutta Venezia in qualità di fotografo rappresenta per me, paradossalmente, la prima esperienza vissuta intensamente da architetto (lo sono di formazione), nel tentativo di creare fonti di documentazione utili in futuro ad altri architetti, urbanisti e storici dell’arte.

Senza persone

Tutte le immagini sono realizzate a parità di condizione di luce, senza ombre portate, e in assenza di persone. Questi aspetti, apparentemente secondari, consentono di dare unitarietà temporale alla percezione della città. L’omogeneità della luce rende visibili tutti i dettagli delle facciate, anche i meno rilevanti, e la mancanza di persone costringe l’osservatore a riflettere sul possibile destino della città. Al tempo stesso il silenzio che pervade migliaia di fotografie consente a Venezia stessa di mostrarsi nella sua articolazione urbanistica e architettonica.

La peculiarità dell’archivio in via di definizione è rappresentata dall’omogeneità della visione, dalla coerenza delle modalità di ripresa e dall’approfondimento quotidiano nella conoscenza della città.

L’accordo

Alla fine del 2018 è stato firmato un accordo tra il sottoscritto, l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (Iccd), e la soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Venezia, finalizzato alla valorizzazione di Venice urban photo project attraverso la creazione di un fondo digitale presso l’Iccd.

L’accordo prevede la cessione gratuita allo stato italiano dei diritti di utilizzo e di riproduzione delle fotografie dell’intero fondo per finalità culturali di tipo istituzionale e per pubblicazioni universitarie all’interno dell’Unione europea.

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