Ascoltare processi e interrogatori di notte per ritrovare la serenità: la cronaca nera ci costringere a vivere vite altrui senza il peso del dilemma estremo di ogni vittima o assassino
- Vado a letto. Il mio compagno – che si addormenterà in meno di un secondo – dice già quasi dormiente: “Ti metti il tuo omicidio?”. “Sì”. “Buonanotte”, fa, e poi: “comunque sei pazza”. Lo dice con dolcezza, e un po’ di rassegnazione. E si addormenta.
- “Non mi sento una spettatrice, non mi sento un giudice. Non mi sento una persona in un letto che assiste a un evento, di notte. Mi sento lì, in quel processo, con tutti i sensi tesi.”
- “I miei amici mi chiedono sempre: mi racconti una storia nera? Io la racconto. E mentre la racconto dimentico tutto, dimentico le mie colpe e le mie paure, e anche le mie aspirazioni, le mie ambizioni e i miei amori”.
Quando vado a dormire ho paura. Ho paura dei pensieri che mi affollano la testa – le cose che dovrei fare, che non ho fatto, che dovrò fare, che non saprò fare, le persone a cui dovrei dedicare più tempo, più amore, gli errori che ho fatto, quelli che sto per fare. Questi pensieri mi aspettano nel buio, sempre. Appena poggio la testa sul cuscino, appena si spegne la luce, rimaniamo io e me stessa: due persone incompatibili. In quel cono di coatta vicinanza esclusiva, dal buio avanzano strisciand


