This machine kills fascists”, si leggeva sulla chitarra di Woody Guthrie. La “machine” di Valerio Evangelisti non era una chitarra, ma la scrittura. Era nei movimenti politici da decenni come militante, ma anche come autore, e come tale il suo campo d’azione era un ambito quanto mai strategico, quello della narrazione, attraverso cui combatteva una battaglia fondamentale, per la (de)colonizzazione dell’immaginario.

Affrontava il territorio del fantastico attraverso la letteratura di genere, dalla fantascienza al western, nel nome del romanzo d’avventura, dal violento passato medievale all’orrendo futuro distopico, con il pistolero Pantera, Nostradamus, i pirati dei “Fratelli della Costa”, i sindacalisti americani, i rivoluzionari risorgimentali e romagnoli tra Mazzini, il socialismo e l’anarchia. E soprattutto con Nicolas Eymerich, protagonista del suo ciclo più noto, i tredici romanzi usciti tra il 1994 e il 2018 oggi raccolti nell’edizione Titan della Mondadori, in cui Evangelisti si muove dal romanzo storico alla fantascienza.

Le storie sono infatti tripartite: nel XIV secolo il sanguinario inquisitore combatte eresie e nemici dell’ordine in nome della (sua) Chiesa, mentre nei due livelli del futuro, tra XX e XXI secolo alternativi (ma con molti riferimenti alla storia contemporanea) e un tempo molto più lontano, si vedono gli effetti devastanti dell’ordine sostenuto da Eymerich.

Un mondo futuro di soprusi dell’uomo sull’uomo, figlio dell’ideologia totalitaria di cui l’inquisitore è l’archetipo: l’affermazione di un ordine unico, universale, con la repressione delle “canaglie” che vi si oppongono e di ogni disordine.

Un ordine che da teologico, nel corso dei secoli, diventa economico, ed è l’espressione di un mondo in cui i padroni hanno vinto la lotta di classe, il capitalismo ha depredato il pianeta distruggendolo e diviso gli esseri umani fino a renderli schizoidi, gli uni contro gli altri in una competizione senza fine.

Un unico grande romanzo

Per raggiungere un simile risultato, i “discendenti” di Eymerich hanno agito con la repressione fisica, ma hanno operato soprattutto sul controllo dell’immaginario, attraverso narrazioni sempre più pervasive e persuasive, che omologassero i modelli, indicassero paure e desideri. Un universo orrendo, la cui storia però non appartiene solo al ciclo di Eymerich, ma a tutta la produzione di Evangelisti.

La sua opera è infatti un unico grande romanzo che attraversa i secoli, a partire dal 1300. Il XIV e il XV secolo con le imprese di Eymerich e l’impostazione ideologica, il XVI con il nuovo paradigma scientifico che emerge reprimendo altre forme di relazione con la natura e la spiritualità, raccontato nei tre romanzi di Magus (1999-2000), il XVII con l’avidità predatoria dei Fratelli della Costa nella Trilogia dei pirati (2008-2012), precursori nel mar dei Caraibi dell’ideologia liberista.

Nel XIX nascono la moderna società industriale, i movimenti sindacali e rivoluzionari, raccontati nel “Ciclo del Metallo”, cioè Metallo urlante (1998), Black Flag (2002) e Antracite (2003), romanzo che introduce anche il “Ciclo americano”, che segue con Noi saremo tutto (2004) e One Big Union (2011), strettamente connessi ai testi sulla rivoluzione messicana, Il collare di fuoco (2005) e Il collare spezzato (2006), su cui si apre il XX secolo.

Se questo avviene oltreoceano, in Europa il XIX e il XX secolo sono raccontati con la trilogia (incompiuta) composta da 1849. I guerrieri della libertà (2019) e Gli anni del coltello (2021), sulla Repubblica romana e la stagione di attentati successiva, che doveva concludersi con l’unità d’Italia e la nascita dell’Internazionale, una controstoria popolare che continua nella trilogia del Sole dell’Avvenire (2013-2016), sui rivoluzionari romagnoli e sull’antifascismo.

Il tempo a spirale

È quindi un’opera vasta: una trentina di romanzi, tradotti in diverse lingue, in Italia editi per lo più da Mondadori, nonché da una quarantina di racconti apparsi in quotidiani, riviste e antologie.

Un’opera vasta ma non disomogenea, anzi: i romanzi sono interconnessi grazie a riferimenti specifici, travasi di personaggi e soprattutto al tema della violenza capitalista, e ne deriva appunto un unico grande romanzo, di cui il ciclo dell’inquisitore risulta l’alfa e l’omega, cioè il momento più remoto nel passato e nel futuro, perché giunge fino alla fine dell’universo. E al suo possibile nuovo inizio.

Infatti, nella concezione dell’universo che emerge dal ciclo di Eymerich il percorso del tempo non è lineare, né circolare, ma a spirale, ed esistono varchi che permettono di muoversi da un momento all’altro nella storia, cambiandone il corso.

Per questo, non è detto che l’unico futuro possibile sia quello distopico in cui domina il capitalismo, nei suoi molteplici mascheramenti. E proprio per questo non è vero che la lotta di classe debbano per forza vincerla i padroni. E sempre per questo nei romanzi di Evangelisti i ribelli, le “canaglie”, continuano a esistere: c’è sempre chi si oppone, chi dice no all’omologazione, alle menzogne imperialiste, nazionaliste, fratricide, in nome della diversità, dell’Avvenire, contro ogni fascismo.

Eppure spesso i suoi eroi sono antieroi, personaggi ambigui se non spregevoli, come i protagonisti doppiogiochisti del ciclo americano, e soprattutto come Eymerich, che è la sintesi della razionalità (alla Sherlock Holmes) di Guglielmo da Baskerville e della violenza intollerante del Bernardo Gui del Nome della rosa di Umberto Eco. È una macchina perfetta di sterminio, e il lettore vede il mondo dai suoi occhi, si identifica in lui, tifa per il suo successo quindi per la repressione.

È un paradosso? No: è una sfida lanciata al lettore, che deve vedere il nocciolo orrendo della società in cui vive e della sua ideologia. E forse anche di sé stesso, se ne condivide i “valori”. Il paradosso è semmai che, nel ciclo di Eymerich, il lettore nel XIV secolo sta dalla parte dell’inquisitore e nei livelli futuri dalla parte dei ribelli. E questo dovrebbe innestare il cortocircuito che vorrebbe Evangelisti nei suoi lettori. Per ribellarsi a Eymerich.

È quindi una costruzione narrativa complessa, ma d’altronde siamo nel territorio della letteratura popolare, che, come ha sostenuto più volte Evangelisti, deve offrire letture articolate, e deve essere massimalista, affrontare macrotemi, costringere a riflettere. Percorrendo strade diverse, come ha fatto anche lui, dalla pubblicistica alla saggistica, dal romanzo al racconto, dal fumetto alla rubrica sull’heavy metal tenuta per la rivista Rolling Stone negli anni zero. E nemmeno questa era un “divertissement”, anzi.

Erano interventi con i quali continuava la sua attività massimalista, e spesso connessi con la sua produzione letteraria. Quando parla dei suoi amati Sepultura, ad esempio, cita le canzoni Chaos A.D., sulla rivolta repressa nel sangue nel carcere di Carandiru, a San Paolo del Brasile, nel 1992, e Kaiowas, sulla tribù omonima di Indios e il loro suicidio di massa contro i soprusi del governo. Storie che diventano parte del racconto Sepultura di Metallo urlante (1998).

Con ogni forma della narrazione, quindi, si può e si deve combattere la battaglia fondamentale. Anche con la letteratura popolare, che non è escapismo, ma lotta di classe nel territorio dell’immaginario, che va decolonizzato.

In cerca del massimalismo

Evangelisti era fieramente un lettore e un autore di letteratura popolare, anzi, di “sottoletteratura”, come scrisse provocatoriamente in un saggio in cui affermava con fermezza che “letteratura di genere” non significa disimpegno, e anzi con la sua capacità di evocare gli archetipi può intervenire nella coscienza profonda dei lettori.

Il problema, semmai, come sostenne in più interventi su Carmilla, la rivista prima cartacea poi online che fondò nel lontano 1995, è se esista ancora una letteratura popolare in grado o con la volontà di essere massimalista, ma soprattutto se ci siano ancora lettori disposti ad accettare la sfida.

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