Nella valli o in città, cosa significa sostenibilità: le scelte etiche e i contesti

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è come si salvano i ristoranti. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Se una mattina ci svegliassimo e decidessimo di metterci alla ricerca di un ristorante perfettamente “sostenibile” per la cena, faremmo quanto meno moltissima fatica. Anche perché la prima, complicatissima questione da porci sarebbe: cosa vuol dire sostenibile, quando si parla di ristorazione? La domanda esploderebbe come un vaso di Pandora appena tolto il coperchio. La risposta è frammentata in una miriade di scelte etiche che si possono fare o non fare, la maggior parte delle quali sono scelte piuttosto costose e quando si sommano fra loro scelte costose il risultato è uno scontrino che non ci possiamo permettere. E a pensarci bene anche questo, escludere, si può annoverare fra le scelte poco etiche. Di queste scelte, molte sono più facili da attuare per un ristorante fuori dalle aree urbane; alcune, poche, sono più semplici in città. Chiara Danielli è stata ed è responsabile di cucina in due luoghi che in maniera diversa cercano di fare scelte etiche, e ha provato a raccontarcele: Reis, in provincia di Cuneo e Rob de Matt, a Milano. Turni trasparenti, orari limitati. Lo slalom dei ristoranti per uscire dal burnout Autosufficienza e filiera Reis - Cibo Libero di Montagna si trova in Val Varaita, nel Piemonte Occitano dove si beve Pastis e si guarda il Monviso. Usa riscaldamento geotermico, pannelli solari, stufa a legna: perfettamente indipendente dal punto di vista energetico, non versa neanche un centesimo all’energia fossile. Ci son voluti investimenti importanti ma a lungo termine conviene, niente più bollette che impazziscono a seconda degli umori geopolitici del gas. In città l’autosufficienza sarebbe molto più complicata. Poi c’è la materia prima. E per cominciare ci sarebbe da evitare la grande distribuzione. Cercare di accorciare le filiere il più possibile, rifornirsi da piccoli produttori con buone pratiche agro-ecologiche e di pascolo. In un posto come Reis si può fare: ha i suoi orti e i suoi animali al pascolo, ha una rete di produttori di fiducia tutto attorno, con cui scambiarsi e darsi una mano. Ha anche una clientela consapevole, del resto non è un posto in cui si capita per caso. Stop al «burger veg», il parlamento Ue boccia l’uso di nomi animali per prodotti vegetali «Ogni scelta ambientale può avere mille sfumature su “come” avere un prodotto, ma spesso vuol dire non averlo. Se il mio ristorante è in un posto dove non ci sono maiali, non servirò affettati. Dovremmo mettere in tavola solo frutta e verdura della zona e questo va in conflitto con le abitudini del cliente che, a partire dal boom economico degli anni Sessanta, è stato abituato al consumo standardizzato della grande distribuzione: tutta la materia prima, tutto l’anno, in ogni parte del mondo», racconta Chiara Danielli. Tutto ciò richiede, soprattutto, tantissime energie: studio, tempo per trovare i produttori, per gestire i singoli rapporti. E quel tempo ha un costo. Così come ha un costo quella materia prima, per mille ragioni: perché si lavora su scala più piccola, perché il lavoro richiesto è più umano e meno meccanizzato, perché chi non fa uso di chimica ha perdite maggiori sulla produzione annuale. Perché compete con un’agricoltura intensiva permeata dal caporalato, dunque insostenibile sia ambientalmente che umanamente ma con costi bassissimi. “Tutta colpa del meteo”, il racconto estivo In città Per un ristorante di città che voglia restare inclusivo ed evitare scontrini troppo alti, rifornirsi da piccoli produttori virtuosi è complicato e costoso. Sempre più ristoranti provano a farlo, correndo però spesso il rischio di peccare in accessibilità ed escludere chi quell’attenzione non se la può permettere. Ci sono però altre scelte etiche che si possono fare in città anche grazie a una maggior continuità economica e di clientela. Rob de Matt è prima di tutto un progetto di inclusione lavorativa, coinvolge in sala e in cucina persone con disagio psichico o sociale, ma non solo: «In una città come Milano la scelta etica da fare è non trattare le persone solo come consumatori, essere spazi di comunità. I ristoranti oggi devono farsi carico di un ruolo anche sociale». L’etica per Chiara Danielli sta anche nel tipo di dipendenti che scegli, nell’atmosfera in cucina, negli eventi, nelle collaborazioni, in quello che metti o non metti in un piatto. «Il cibo è un linguaggio estremamente forte, se non lo si rende esclusivo. Si può usare per parlare di Palestina o di migrazioni». Se una mattina ci svegliassimo e cercassimo un ristorante del tutto sostenibile, scopriremmo insomma che la coerenza a 360° nel mondo in cui viviamo non ci è quasi mai concessa. Carissima Hong Kong Potremmo porci però un’altra domanda e chiederci di cosa avrebbe bisogno una ristorazione che aspiri a fare scelte etiche. Secondo Juri Chiotti, fondatore di Reis e precedentemente chef stellato a Cuneo, in città servirebbero modi «per incentivare la creazione di Gas, di Comunità di supporto all’agricoltura (Csa) e di reti dirette fra i produttori che lavorano in periferia e i consumatori e ristoranti dell’area urbana». Mentre per le zone marginali ci sarebbe bisogno di sgravi fiscali date le difficoltà logistiche e il minor bacino di utenza. «Queste facilitazioni sarebbero compensate, da parte di esercizi come Reis, da un enorme lavoro di cura del territorio e del tessuto sociale che noi già facciamo ma il cui valore oggi non viene riconosciuto». Soprattutto, ci sarebbe bisogno di non trattare tutti, fiscalmente, allo stesso modo. Oggi qualsiasi srl, che sia una grossa catena che offre tagliata e salmone o un ristorante che compra solo materia prima di stagione da piccoli produttori di zona, affronta gli stessi costi sul lavoro e per coprire il costo del lavoro spende circa il 45 per cento del fatturato. Certe scelte, proprio perché difficili, andrebbero premiate. Mangeremmo meglio tutti, soprattutto staremmo meglio tutti: chi mangia, chi cucina, chi produce. Il caso Appointment Trader: se avere il tavolo è un business [Missing Caption][Missing Credit]