- A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, l’obiettivo di Castella si posa su paesaggi urbani, interni di case o negozi, zone industriali e squarci di rovine archeologiche. Le immagini a colori sono realizzate con lastre di grande formato, in grado di registrare con esattezza i minimi particolari.
- Gli anni a cavallo del 2000 sono quelli, invece, delle sperimentazioni tecniche, che lo portano, tra i primi in Italia, a scannerizzare le lastre fotografiche, stampandole da file. Parallelamente a questa ricerca, l’artista ne ha portata avanti una che riguarda la natura.
- Per Castella la realtà non è quella che vediamo. È migliore. È per questo che l’artista cerca sempre di lavorare sullo “spazio negativo”, sia dal punto di vista della scelta dei soggetti, sia sul piano delle inquadrature.
Nel 1984, Luigi Ghirri scriveva che Vincenzo Castella – allora trentaduenne – era una delle figure più importanti della “nuova fotografia italiana”. Una generazione, spiegava l’artista di Scandiano, il cui approccio alla fotografia era neutro e impersonale. La “morte dell’autore” era l’elemento unificante della nuova tendenza, che seguiva la lezione di Walker Evans: silenzio, rigore e semplicità. Sono passati quasi quarant’anni e Castella ha smesso i panni della giovane promessa per indossare



