Le accuse emerse da alcune inchieste giornalistiche in merito al fatto che Karol Wojtyla avesse coperto vari casi di abuso commessi dai preti quando era arcivescovo di Cracovia (1964-1978), sono al centro di uno scontro politico in Polonia.

Sia la chiesa, infatti, che il governo, attraverso il premier Mateusz Morawiecki, esponente del partito di destra Pis (Diritto e giustizia), forza politica di ispirazione nazionalista e xenofoba in perenne conflitto con Bruxelles, hanno difeso l’eredità storica di Giovanni Paolo II denunciando una campagna diffamatoria che avrebbe come obiettivo quello di minare l’integrità spirituale e culturale del paese.

Parole che forse vanno lette anche con il pensiero rivolto alle prossime elezioni politiche in programma in autunno. Lo stesso presidente della Repubblica Andrzej Duda, anch’egli esponente del partito Diritto e giustizia, è intervenuto con toni retorici e forti: «Per noi polacchi la memoria di san Giovanni Paolo II è parte essenziale del nostro patrimonio nazionale e appartiene alla ragion di stato polacca, che dobbiamo sostenere con assoluta devozione e determinazione, indipendentemente dalle conseguenze. Questo è il nostro dovere civico, patriottico e storico».

Sullo stesso piano si è posta, lo scorso 14 marzo, la Conferenza episcopale polacca che in una nota dedicata al pontefice originario di Wadowice, ha affermato: «San Giovanni Paolo II è uno dei più grandi compatrioti della nostra storia. Egli è anche il padre della nostra libertà. Ha camminato davanti a noi come Mosè: ci ha fatto uscire dalla casa della schiavitù, ci ha condotto attraverso il mar Rosso e ci ha ricordato le tavole dei comandamenti di Dio». 

La nota dell’episcopato polacco entrava poi nel merito della questione: «Alla luce dei recenti tentativi portati avanti su larga scala di screditare la persona e l’opera di san Giovanni Paolo II, ancora una volta facciamo appello a tutti affinché rispettino la memoria di uno dei nostri più eminenti connazionali. Il processo di canonizzazione condotto, compresa un’approfondita analisi storico-scientifica, non lascia dubbi sulla santità di Giovanni Paolo II».

«Permetteremo – era la questione infine posta – che questo tesoro ci venga portato via sulla base di una discussione giornalistica sui materiali prodotti dal servizio di sicurezza comunista?». Già, perché, almeno in parte, i documenti che accusano l’arcivescovo Wojtyla provengono dagli archivi dell’ex polizia segreta (SB) risalenti all’epoca della cortina di ferro. Non del tutto però.

Preti trasferiti

A scatenare reazioni tanto virulente sono state due inchieste, una trasmessa del canale TVN24 e realizzato dal giornalista Marcin Gutowski, l’altra contenuta nel libro Maxima culpa del giornalista olandese Ekke Overbeek. Secondo entrambe le indagini, che citano diversi casi, Wojtyla, già da arcivescovo di Cracovia, non solo era venuto a conoscenza di casi di pedofilia commessi da alcuni preti della sua diocesi, ma soprattutto aveva contribuito a nasconderli spostando i sacerdoti in questione da una diocesi all’altra.

Secondo l’inchiesta di TVN24, il futuro Giovanni Paolo II avrebbe fatto trasferire uno dei preti abusatori in Austria. Il cardinale Wojtyla aveva scritto anche una lettera di raccomandazione al cardinale Franz König, allora arcivescovo della capitale austriaca, senza però informarlo delle accuse contro il sacerdote.

Il portavoce della diocesi viennese Michael Prüller ha confermato all’agenzia di stampa cattolica dell’Austria, Kathpress, che da Cracovia non erano pervenute informazioni sugli abusi commessi dal sacerdote in questione. «Abbiamo indagato su questo aspetto – ha aggiunto – quando abbiamo ricevuto una richiesta dalla Polonia all’inizio di gennaio di quest’anno”. Inoltre, ha detto, «nei nostri archivi non ci sono prove di possibili crimini commessi dal prete durante il periodo trascorso nel nostro paese».  L’indagine condotta da Gutowski per TVN24, è poi corredata da varie testimonianze di ex vittime di abusi.

La polizia segreta

Insomma, la materia è intricata. In primo luogo i vescovi e il governo contestano l’attendibilità della documentazione proveniente dagli archivi della polizia segreta: poteva essere stata raccolta per ricattare e tenere sotto controllo una chiesa che si opponeva strenuamente al regime? Il sospetto è fondato, lo si evince anche dai timori che l’arcivescovo Wojtyla esprimeva circa la consistenza di alcune accuse, dubbi che lo hanno spinto in alcuni casi ad agire con prudenza.

D’altro canto, proprio l’attività di controllo sociale capillare esercitata dalla polizia segreta, potrebbe deporre a favore della veridicità di quanto si trova oggi negli archivi. La chiesa, per altro, non ha concesso ai giornalisti di accedere agli archivi ecclesiastici, il che rappresenta certamente un limite in tutta la vicenda. Inoltre, va ricordato come, in un primo momento, la reazione della chiesa polacca era stata più articolata, pur nella difesa decisa di Giovanni Paolo II.

Lo scorso 9 marzo, infatti, il presidente dei vescovi polacchi, l’arcivescovo di Poznań, mons. Stanislaw Gądecki, aveva rilasciato una dichiarazione nella quale affermava, fra le altre cose, che «difendere la santità e la grandezza di Giovanni Paolo II, ovviamente, non vuol dire che non avrebbe potuto sbagliare. Essere pastore della chiesa al tempo della divisione dell'Europa fra occidente e blocco sovietico significava affrontare sfide difficili. Bisogna anche essere consapevoli del fatto che a quel tempo, non solo in Polonia, vigevano leggi diverse rispetto a oggi, la coscienza sociale e le modalità consuete di risolvere i problemi erano diverse». E

forse in queste affermazioni si nasconde una parte della verità che si va cercando. Resta da dire che i vescovi polacchi hanno detto sì all’istituzione di una commissione indipendente per indagare sullo scandalo abusi nel suo insieme.

Attacchi esterni

Infine, va sottolineato come la “querelle” intorno a Wojtyla e agli abusi commessi dal clero – vicenda che ha messo in crisi il tradizionale legame fra i polacchi e la chiesa negli ultimi anni –  corrisponda a quel progressivo processo di secolarizzazione che sta interessando anche la Polonia come il resto dell’Europa.

Per questo difendere la figura di Giovanni Paolo II, diventa, ora, un fatto politico. In tale prospettiva va letto dunque quanto affermato dal premier Mateusz Morawiecki in merito agli attacchi contro Wojtyla.

Questi ultimi «provengono – ha detto – da ambienti che vogliono introdurre una rivoluzione al posto della tradizione, della cultura e della normalità, che sconvolgerà la vita della maggior parte della società». «Oggi – ha affermato ancora il premier – la guerra si svolge non solo oltre il nostro confine orientale. Sfortunatamente, ci sono ambienti che cercano di provocare non una guerra militare, ma una guerra civile in Polonia».  Per Morawiecki «da cristiani dobbiamo difendere la memoria del pontefice nato a Wadowice».  

Un’eredità complessa

C’è da dire che la difesa dell’eredità di Wojtyla quale eroe nazionale della liberazione della Polonia dall’oppressione, pure se contiene una parte di verità, è largamente incompleta, almeno dal punto di vista della chiesa universale.

Viene infatti regolarmente accantonato il Giovanni Paolo II del dialogo interreligioso, dell’abbraccio con il rabbino capo di Roma Toaff, quello disposto a tutto per fermare la guerra in Iraq, il papa che per primo ha posto con forza il problema dell’accoglienza dei migranti. Al contempo, indubbiamente, la lotta al comunismo sovietico che Wojtlya ha ingaggiato, ha avuto varie conseguenze.

Da una parte di certo la sua azione ha contribuito alla caduta del muro di Berlino, dall’altra a questo obiettivo ha sacrificato non poco: a cominciare dalla sequela di scandali finanziari dovuti ad alleanze inconfessabili con poteri opachi o criminali che hanno investito lo Ior, la banca vaticana, dove transitavano i fondi destinati al sindacato polacco di Solidarność.

Senza dimenticare l’eccessiva diffidenza – chiuso nella logica della Guerra fredda – con la quale il papa polacco ha trattato il vescovo di San Salvador Oscar Romero, ucciso il 24 marzo del 1980 dagli squadroni della morte. E sugli abusi dei preti, è vero che di fatto le prime timide mosse in direzione di una presa di coscienza del problema da parte della chiesa risalgono al pontificato di Wojtyla, tuttavia molti dei casi più gravi di insabbiamento sono avvenuti sotto il suo pontificato, non di rado messi in atto dai suoi più stretti collaboratori.

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