L’Afghanistan, nella grande mappa ricamata a mano nel 1984, è un rettangolo bianco. Nessuna bandiera, nessun simbolo. Le artigiane afghane incaricate da Alighiero Boetti di completare l’opera si erano rifiutate di ricamare l’emblema di un governo che non riconoscevano. Un gesto politico che spezza l’idea stessa di neutralità cartografica.

Da lì comincia la nuova mostra della biblioteca apostolica vaticana. Non per caso, ma per contrasto: a fronte di quell’assenza, una collezione composta di parole, segni e racconti raccolti in ogni angolo del globo. È il fondo Poma.Periodici: oltre mille testate giornalistiche pubblicate tra Otto e Novecento in contesti coloniali e postcoloniali, in lingue minoritarie e remote. Piccoli fogli che raccontano l’espansione dell’impero, ma anche i suoi vuoti.

Voci alternative

Tra queste emerge un titolo curioso: En route. Pubblicazione francese a metà tra diario e reportage, realizzata da due giornalisti tra il 1895 e il 1897 mentre attraversavano il mondo via nave e ferrovia, scrivendo lungo il cammino. Da qui prende il nome l’esposizione.

Una narrazione tutta maschile, lineare, coloniale. È a fianco dei resoconti di Poma e di En route che i curatori (Cardinali, De Crescenzo, Giannetto, Proverbio) ricostruiscono le traiettorie di sei donne che, contro ogni pregiudizio vittoriano, sono partite per itinerari culturali, politici e simbolici attorno al globo. Figure di scrittrici, viaggiatrici, botaniche e missionarie rimaste per lo più fuori dalla narrazione ufficiale.

Il progetto espositivo si articola con al centro l’archivio, intorno le visioni di tre artisti chiamati a dialogare con i materiali della Biblioteca e con le vicende dei viaggiatori selezionati.

Tre artisti rileggono il mondo

Lorenzo Jovanotti apre la mostra con una raccolta di tracce del proprio muoversi nel mondo, tra reale e immaginario.

Si tratta di un’installazione fatta di oggetti, suoni, mappe, appunti. Non un memoir, ma un archivio aperto accompagnato da un’inedita colonna sonora. Un frammento recita: «A La Habana ho trovato la Roma dei primi anni Settanta dove sono stato bambino, quei pomeriggi troppo azzurri e lunghi, le poche macchine, la gente che ripara le cose prima di comprarne di nuove. Mi è sembrato di inciampare di colpo in sporgenze del terreno e di accorgermi che si trattava delle mie radici, che si erano trapiantate».

Kristjana S. Williams, illustratrice e graphic artist d’origine islandese, lavora sul piano visivo: le sue tavole ibride, tra cartografia e collage, ridisegnano i percorsi dei viaggiatori dell’epoca.

Le mappe mescolano scala, tempo e latitudine. «I documenti storici offrono una visione affascinante del modo in cui gli esseri umani hanno vissuto e visto il mondo nel corso di molte generazioni», racconta l’artista.

Il contributo di Maria Grazia Chiuri, in collaborazione con Karishma Swali e gli artigiani della Chanakya School of Craft, è un’installazione tessuta intorno alle storie di sei donne viaggiatrici del XIX secolo. Il filo conduttore è il corpo femminile in movimento, il ruolo dell’abito non solo come ornamento, ma come strumento che abilita il camminare, l’attraversare, il raccontare. Carte e cartamodelli si trasformano in mappe alternative: tracce di corpi mobili che hanno sfidato i confini imposti.

La mappa di Boetti, in chiusura, lascia un’interferenza; il mondo, disegnato o percorso, non è mai neutro.

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