L’ostinazione, tutta italiana, a chiamare Recovery Fund quello che in realtà è il Next Generation EU può, a ragione, essere interpretata come indizio di una diffusa scarsa consapevolezza di quanto sia decisivo, e improcrastinabile, occuparsi del presente e del futuro delle nuove generazioni. Indizio che peraltro trova conferma nella pervicace sottovalutazione delle ricadute della prolungata chiusura delle scuole sui nostri ragazzi da parte di troppi amministratori. Questa scarsa consapevolezza persiste nonostante da almeno due decadi si vada accumulando un corpus scientifico multidisciplinare, con apporti dalle neuroscienze così come dall’economia, che indica nell’investimento nei primi periodi della vita non solo un’opportunità di impiego di risorse economiche a elevata redditività nel medio periodo, ma una strategia fondamentale per prevenire le diseguaglianze e promuovere una società più coesa.

Anni cruciali

A tre-quattro anni di vita si è sviluppata gran parte delle reti neurali dove poggiano le fondamenta delle competenze su cui ciascuno di noi farà affidamento per il resto della sua vita: quelle più propriamente cognitive, linguistiche, matematiche e di soluzione dei problemi, e quelle socio-relazionali, ad esempio l’empatia e la capacità di lavorare in gruppo. Studi effettuati in molti paesi, tra cui l’Italia, indicano che già a questa età si sono formati divari significativi tra bambini nelle loro diverse competenze. In seguito, questi divari vanno allargandosi, con ripercussioni sulle performance scolastiche, sulla salute fisica e mentale, sugli esiti occupazionali e sociali. Semplificando un intreccio causale molto complesso in cui giocano molti fattori, anche intergenerazionali, lo sviluppo delle competenze dei bambini nel primo periodo della loro vita può essere rappresentato come il prodotto soprattutto di due componenti: la qualità dell’ambiente di apprendimento familiare e la qualità, e la durata complessiva di frequenza, dei servizi educativi.

L’ambiente di apprendimento familiare è costituito dall’insieme delle relazioni, degli ambienti e degli eventi a cui il bambino viene esposto nell’ambito della famiglia e che costituiscono la sua fonte principale di apprendimento durante i primi anni di vita. In questo contesto è particolarmente importante che i genitori (entrambi: si stanno infatti accumulando le evidenze sui benefici di un coinvolgimento precoce dei padri nelle cure ai bambini) dedichino del tempo ad attività condivise capaci di sostenere lo sviluppo delle diverse competenze nell’ambito di una relazione affettivamente ricca: dalla lettura alla musica, dal gioco alla esplorazione ambientale. Per rappresentare la potenza di queste “buone pratiche” ai fini dello sviluppo dei bambini basti ricordare che gli effetti della lettura condivisa in famiglia già a partire dai primi mesi di vita si ripercuotono favorevolmente su tutta la gamma delle competenze cognitive e socio-relazionali del bambino, con effetti di breve, medio e lungo periodo. Questi effetti sono oggi dimostrati con il massimo grado di evidenza scientifica, quello fornito da analisi sistematiche e combinate di tutti gli studi disponibili e condotti con metodologia rigorosa. Sostenere i genitori nell’acquisizione della consapevolezza di quanto possano fare assieme ai propri bambini per promuoverne le competenze, e nella scoperta di quanto questo possa essere sia semplice che piacevole, richiede tuttavia uno sforzo congiunto di tutti coloro che hanno a che fare con famiglie: dagli operatori sanitari a quelli dei servizi sociali, educativi e culturali. Purtroppo, anche tra gli operatori che si occupano di infanzia, nonostante il lavoro fatto in questi anni da parte di alcuni centri accademici, organizzazioni professionali e del Terzo settore, non vi è ancora piena consapevolezza e conoscenza del tema dello sviluppo precoce dei bambini e dei fattori che lo influenzano, ancora troppo marginale nei percorsi di formazione.

Prevenire le diseguaglianze

Anche i benefici della frequenza di un servizio educativo precoce, quindi di un nido, di qualità, sono ampiamente documentati, riguardano sia le competenze cognitive che le cosiddette “soft skills” e sono documentabili a distanza, ad esempio nei punteggi ottenuti nelle valutazioni effettuate sui ragazzi delle superiori dai sistemi internazionali per valutare le competenze degli studenti. Tra l’altro, la ricerca fornisce anche prova evidente che sono i bambini altrimenti destinati a sviluppare precocemente uno svantaggio a causa di un ambiente familiare non favorevole che ne ricavano i benefici maggiori, producendo quindi un effetto importante di prevenzione delle diseguaglianze. E tuttavia, nonostante la grande tradizione pedagogica italiana offra modelli di educazione precoce di alta qualità e riconosciuti universalmente, meno di un bambino su quattro ne usufruisce. E tra quanti possono farlo prevalgono i bambini appartenenti a famiglia di livello educativo ed economico medio alto.

Date le forti evidenze su cui si basa, la materia dell’investimento nei primi anni è in rapida evoluzione. In campo internazionale, si sono moltiplicate negli ultimi anni le raccomandazioni a investire sia nell’educazione precoce che nel supporto alle competenze genitoriali. E questo sia da parte di istituzioni a prevalente contenuto tecnico (Oms, Unesco) o tecnico-politico (Ocse) che da parte delle istituzioni europee. Nel maggio 2018, Oms, Unicef e Banca Mondiale, assieme a un esteso gruppo di istituzioni scientifiche, hanno prodotto il documento sulla Nurturing care (le cure che nutrono), molto preciso nel fornire indicazioni a governi e istituzioni sulle azioni da intraprendere. Del giugno 2020 è il documento analitico Towards a Child union: investing in children to reduce inequalities prodotto da alcune fondazioni europee. Di qualche mese fa la chiamata all’azione su scala sia nazionale che europea (Child Compass 2030) da parte delle associazioni che rappresentano le famiglie.

La strada italiana

Anche in Italia si è molto arricchita la schiera dei sostenitori di politiche forti e coerenti per l’infanzia e, conseguentemente, per le famiglie. Dal 2016 opera il Fondo per il contrasto alla povertà educativa gestito dall’Impresa Sociale Con i Bambini che sostiene centinaia di progetti per l’infanzia a e l’adolescenza, alcuni dei quali centrati proprio sui primi anni di vita. La rete Alleanza per l’infanzia, che raccoglie decine di organizzazioni professionali, sindacali e del Terzo settore oltre a un qualificato gruppo di esperti, ha prodotto proposte dettagliate riguardanti i tre pilastri fondamentali del sostegno al reddito, dei congedi parentali e del potenziamento dei servizi per l’infanzia. Su quest’ultimo aspetto è stato realizzato un documentato insieme di proposte per l’ampliamento e il rafforzamento dei servizi educativi tra 0 e 6 anni e degli interventi a sostegno della genitorialità (Investire nell’infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente). Anche nel mondo della politica il messaggio sta facendo breccia: l’assegno unico per le famiglie con figli è ormai legge e una nutrita pattuglia di parlamentari di tutti i gruppi dell’ex maggioranza (ma il tema ha la possibilità di essere trasversale) ha sollecitato il governo a definire nell’ambito del Next Generation EU uno specifico piano integrato dedicato all’infanzia, la cui discussione alla Camera era stata calendarizzata nelle scorse settimane, ma è stata rinviata a causa della crisi di governo. Certo, la strada è ancora lunga prima che il mondo politico colga la rilevanza e assieme l’urgenza del tema: i bambini non votano e non scendono in piazza; le famiglie, soprattutto di questi difficili tempi di pandemia, si preoccupano dell’oggi più che del domani; e la politica ha la vista corta.

I fondi europei

Se l’utilizzo dei fondi Next Generation EU costituisce una tappa essenziale di una politica di investimenti sull’infanzia, in quanto opportunità unica e irripetibile di disporre di risorse aggiuntive, è necessario che una tale politica divenga una costante del governo nazionale così come di quelli locali. Inoltre, considerata l’ampiezza della sfida e la multisettorialità e complessità dell’impegno richiesto, questo non può limitarsi alla parte pubblica. Un ruolo importante lo devono svolgere le istituzioni deputate all’alta formazione e alla ricerca, che anche in questo settore non deve mancare e può illuminare, producendo modelli operativi di lavoro con le famiglie ancora più efficaci e costo-efficaci. Anche il mondo delle aziende, recuperando appieno una visione della propria responsabilità sociale, è chiamato a investire nello sviluppo non solo delle comunità di riferimento ma anche delle proprie risorse umane, i tanti dipendenti che sono pure genitori e ai quali può essere facilitato l’accesso ai servizi come pure a opportunità di formazione e crescita, ovviamente in collaborazione con chi ha le competenze per farlo. Non sono poche le grandi aziende già fortemente impegnate in questa direzione. La Compagnia di San Paolo da molti anni investe in progetti educativi e più recentemente il gruppo Generali attraverso la sua fondazione ha avviato un proprio programma internazionale di sostegno ai bambini e alle famiglie più vulnerabili, con importanti ricadute anche in Italia. Infine, le società e gli ordini professionali hanno il dovere di aggiornare sia i propri programmi di formazione in servizio sia di introdurre nuovi elementi nella contrattazione di ruoli e mansioni che tengano conto dell’evoluzione dei saperi e dei bisogni. Lo sforzo sarà efficace quando sarà di tutti.

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