È vero, come ha detto Enrico Letta nell’assemblea nazionale del Pd, che nella eccezionalità di questo tempo la democrazia è sfidata.
Il nostro presente e il nostro futuro sono racchiusi in tre parole: pandemia, democrazia, condivisione. La pandemia è il contesto del presente, quello della crisi che ne è conseguita per le imprese, le persone, le città.

Il futuro

Democrazia e condivisione sono le strade per disegnare il futuro. La crisi sanitaria ha fatto emergere la vulnerabilità del nostro modello sociale e produttivo e ha messo in mostra i suoi limiti.
Limiti misurabili, prima del Covid, attraverso l’alto livello di disoccupazione giovanile, la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l’aumento della denatalità i cui tassi sono da anni in vertiginoso aumento.
La pandemia dunque ha svelato l’inconsistenza delle “magnifiche sorti e progressive” della modernità e perciò stesso ha determinato sia la consapevolezza della necessità del cambiamento per vivere meglio che la possibilità di realizzarlo attraverso le risorse europee del Nex Generation Eu.
Il presente dunque è il tempo dell’emergenza di interi sistemi produttivi, quelli della ristorazione , del commercio, del turismo, della ospitalità, quelli cioè che non hanno potuto mantenere la continuità produttiva con lo Smart working. E proprio qualche giorno fa l’Istat conteggiava un milione di posti di lavoro sostanzialmente persi fin qui.

Nulla sarà come prima

Ma è anche il tempo in cui è necessario cominciare a costruire il futuro. Perché nulla sarà come prima. Il cambiamento dei processi organizzativi, produttivi e del lavoro dovuti alla digitalizzazione, è stato fortemente accelerato dalla pandemia, ma non sarà transitorio.
Non sarà transitorio l’impatto del lavoro da remoto sul cambiamento del rapporto tra vita e lavoro, sull’organizzazione delle imprese e della produzione. Non sarà transitorio neppure l’impatto del lavoro da remoto sullo sviluppo urbano e sul rapporto tra le periferie e il centro.
Per attraversare questa fase di passaggio, di transizione appunto, verso un un nuovo modello produttivo e sociale, bisogna perciò che chi amministra e chi governa coinvolga la società e le parti sociali, su cosa produrre e su come produrre.
Torna in mente la concertazione modello Ciampi o il dialogo sociale in chiave europea. In realtà abbiamo bisogno di declinare una nuova idea di qualità della democrazia della condivisione.
E anche una nuova idea di democrazia economica, di ruolo di chi lavora, e quindi genera valore, nelle scelte economiche attraverso l’utilizzo del risparmio anche previdenziale nell’economia reale.
E, ancora, una piena realizzazione della democrazia paritaria, che non è un problema delle donne ma del paese.

Un patto

Per tutto ciò il cuore della proposta per il futuro in sintonia con la democrazia della condivisione non può che essere quella di un patto per l’aumento dell’occupazione giovanile e femminile che il governo dovrebbe promuovere.
Avrebbe un doppio significato: quello di indicare al paese l’aumento della occupazione femminile e giovanile come interesse generale e quello di promuovere la modalità efficace, l’unica, per realizzarlo e cioè che ognuno degli attori sociali che concorrono al patto metta in atto comportamenti coerenti a quell’obiettivo.
Per questo un patto: come scelta di qualità delle democrazia e come strumento per realizzare gli obiettivi di una democrazia contemporanea. Nel corso di una transizione imprevista da attraversare per realizzare il cambiamento positivo che ci serve.

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