Massimo D’Alema non si rassegna a stare fuori dalla politica italiana.Nei giorni scorsi, come presidente della fondazione Italiani-Europei,  ha radunato in un webinar: Amato, Renzi, Zingaretti, Franceschini, Bettini, Speranza e altri per discutere l’idea di formare un nuovo partito di sinistra. Napoleone Colajanni diceva: «dove c’è D’Alema c’è una trama».

Qualcuno pensa che D’Alema sia stato la rovina non solo della sinistra italiana, ma dell’intera politica italiana. In effetti, se rileggiamo alcune tappe della sua carriera politica possiamo trovare elementi validi a sostegno di questa tesi, confermata anche da molteplici insuccessi, che iniziano con la mancata laurea, malgrado la sua ammissione alla Scuola Normale di Pisa avesse certificato le sue potenzialità elevate.  

Restando nell’ambito strettamente politico, nel 1998, dopo quindici mesi di lavoro, la Commissione per la riforma della Costituzione, voluta da Berlusconi e presieduta da D’Alema, fallì nei suoi intenti e fu sciolta. Nello stesso 1998 Romano Prodi presiedeva uno dei migliori governi dal 1945.

Alla fine di settembre del 1998 D’Alema disse a Prodi: «E’ ora di fare il cambio” (D’Alema alla Presidenza del Consiglio). Prodi rispose: “Ma non eravamo d’accordo dopo l’elezione del presidente della Repubblica? D’Alema rispose: “Marini non ti ha detto niente?” ». Allora Prodi capì che D’Alema aveva promesso a Marini, allora presidente del Senato, il sostegno per la sua candidatura alla presidenza della Repubblica come contropartita al suo appoggio al cambio di Governo. Poi D’Alema non mantenne la promessa e nel 1999 fu eletto Carlo Azeglio Ciampi.

Così nell’ottobre 1998 D’Alema divenne presidente del consiglio bloccando la spinta riformatrice del governo Prodi. Durante la sua presidenza fu avviata la  riforma del titolo V della Costituzione sostenuta da Giuliano Amato, allora ministro per le riforme costituzionali.

Una riforma che si è tradotta in costi altissimi per la gestione delle strutture amministrative regionali e per la sanità, come il caso Calabria ha recentemente dimostrato, senza contare i conflitti tra governo e regioni, oggi sotto i nostri occhi a causa della pandemia.

 Nel 2000, le elezioni regionali furono un disastro per la sinistra anche per le candidature sbagliate volute da D’Alema. A causa di questa sconfitta, ma non solo, il  25 aprile 2000 D’Alema fu costretto a cedere la poltrona al governo Amato. Tutto questo contribuì al successo di Berlusconi nelle elezioni del 2001. Non si può poi dimenticare la guerra che D’Alema fece a Walter Veltroni, quando quest’ultimo era segretario dei Ds e D’Alema presidente, finche Veltroni nel maggio 2001 rassegnò le dimissioni. Anche questo non ha certo giovato alla sinistra italiana.

Nel 2006 D’Alema divenne ministro degli Esteri nel Governo Prodi che però cadde dopo solo due anni. Nel 2014 D’Alema non fu rieletto alla fondazione dei socialisti europei e per  la posizione di Alto Rappresentante della Politica Estera Europea fu preferita Federica Mogherini. In entrambi i casi la reazione di D’Alema fu molto rabbiosa. Forse D’Alema avrebbe dovuto leggersi  il principio di Einstein: “Non cercare di diventare un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore”.

Su Domani Sabino Cassese ha recentemente spiegato perché «l’attuale classe politica non è all’altezza di governare». Oltre alle  ragioni descritte da Cassese, dobbiamo considerare che  le statistiche dei Paesi Ue ci pongono all’ultimo posto per indice di scolarità e di cultura.

Ci sono diversi esempi che ci dicono che la classe politica riflette questi indici, come quello di un ministro degli Esteri che confonde il Cile con il Venzuela o quello di un ministro della ricerca scientifica che crede che i neutrini viaggino dal CERN di Ginevra al Gran Sasso in un tunnel sotterraneo. Non parliamo poi dell’uso improprio dell’inglese.

Non è di una nuova sinistra che l’Italia ha bisogno, ma di una nuova classe politica di elevato livello culturale, con una preparazione alla gestione della cosa pubblica, che sappia studiare i dossier, che sia capace di dialogare con gli organismi europei e internazionali, che sappia scegliere i collaboratori più stretti sulla base della competenza e non della fedeltà politica, che abbia come scopo principale il benessere del Paese e non la conquista di voti con una perenne campagna elettorale per mantenere una posizione di potere. E non è certo D’Alema che ne può tracciare la strada.

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