Il libro che Piero Ruzzante ha scritto insieme ad Antonio Martini e ha da poco pubblicato per Utet (Eppure il vento soffia ancora) non è un saggio su Enrico Berlinguer. È un diario, un album di memorie, individuali e collettive, che ripercorre con grande rigore, ora dopo ora, gli ultimi giorni della vita del segretario comunista.

Il sentimento che scaturisce dalla lettura è di commozione. La stessa commozione di quelle migliaia di militanti e cittadini che in piazza, quel 7 giugno 1984, si rendono conto della tragedia che si sta consumando; e ancora la stessa commozione di un intero popolo, quello comunista, e persino di un intero Paese, che seguirà con apprensione, affetto, sobrietà, partecipazione intensa e sincera lo sviluppo degli eventi fino all’abbraccio infinito di Roma nel giorno dei funerali.

Ci sono molti episodi e aneddoti nel libro di Ruzzante che descrivono questa empatia straordinaria di Berlinguer con la sua gente: le migliaia di telegrammi provenienti dalle fabbriche di tutta Italia così come le preghiere delle suore del convento delle Elisabettine di Padova durante i giorni del ricovero in ospedale. Questo è forse il primo messaggio che il libro di Ruzzante ci consegna: la diversità comunista di cui tanto si è dibattuto, il cuore dell’intervista sulla questione morale a Eugenio Scalfari, non era uno slogan da declamare, era un modo di essere, uno stile di vita che Berlinguer semplicemente incarnava.

Attraverso il racconto di quei giorni emergono alcuni dei grandi temi che hanno segnato la vita e l’azione politica di Berlinguer. Ruzzante li affronta suggerendo talvolta tesi storiografiche innovative, come per esempio laddove ipotizza che l’incidente automobilistico subito da Berlinguer a Sofia nel 1973 giocò un ruolo determinante nell’elaborazione del compromesso storico. Confortato da una testimonianza di Emanuele Macaluso, Ruzzante scrive che quell’incidente fu un attentato e che dunque erano molte le ragioni - non soltanto il Cile, non soltanto il sistema politico italiano, bloccato dall’esclusione dei comunisti dalla sfera del governo - che spingevano il Pci sulla strada di un rapporto stabile con la Democrazia cristiana.

La proposta di Berlinguer

Più in generale questo album di memorie fa emergere il senso e la forza dell’intera proposta berlingueriana. Il grande tema della pace, innanzitutto, del dissenso culturale e strategico dei comunisti italiani rispetto alla corsa ai missili e agli armamenti dei due blocchi (Ruzzante scrive persino - esprimo qualche dubbio - di “equidistanza tra i due blocchi”), mettendo in evidenza una sensibilità che Berlinguer matura da subito, nei primissimi anni del dopoguerra. È questo il primo terreno di incontro con il mondo cattolico, che precede la stagione e segna il significato stesso del compromesso storico. Il rapporto con il mondo cattolico viene proposto e perseguito da Berlinguer, quindi, a un livello più alto e più profondo, in continuità con il discorso di Togliatti del 1963 sul destino dell’uomo a Bergamo, nella città di Giovanni XXIII. In continuità con un’attenzione verso la Chiesa di Paolo VI  che già con la Populorum progressio chiamava «tutti agli uomini di buona volontà» all’obiettivo dello «sviluppo integrale dell’uomo» e dello «sviluppo solidale dell’umanità».

Il tema del lavoro, poi. Ruzzante scrive che davanti ai cancelli di Mirafiori il 26 settembre ’80 Berlinguer sigla il nuovo patto tra i comunisti e la classe operaia. È un’immagine suggestiva. Dobbiamo ricordare il coraggio e anche la solitudine di quella battaglia, simili a quelli della lunga lotta contro il taglio della scala mobile, iniziata già nel ’76, una sfida a distanza con Craxi che metteva in luce due modi radicalmente diversi di intendere le relazioni industriali e, in fondo, la modernità. Non è vera la semplificazione per la quale Craxi era moderno e Berlinguer arcaico. Si trattava di due visioni - come ci ricordava spesso Reichlin - di intendere lo sviluppo della modernità, l’evoluzione del capitalismo.

E poi il rapporto con i giovani, con la Fgci, e dunque con la dimensione di nuove sfide finalmente mature: la questione femminile (il rapporto con la quale per Berlinguer non è mai stato estemporaneo, improvvisato), l’ecologismo, l’austerità come cambio radicale e necessario del modello di sviluppo.

Ruzzante affronta tutto questo e ancora altro, rimanendo sempre ancorato al ricordo vivido di quei giorni e cioè alla dimensione memorialistica del racconto.

Ma se è forte, come Ruzzante dimostra, la necessità di una simile (riuscitissima) operazione editoriale, è forse perché questo groviglio di questioni, di urgenze, di progetti parla ancora alla nostra società e ai nostri tempi. Parla della nostra società e dei nostri tempi. Direi che la vita di Berlinguer è un programma politico vivo, attuale, che chiama tutti noi a un impegno in una direzione precisa.

Miriam Mafai nel 1996 scrisse un libro dal titolo inequivocabile: Dimenticare Berlinguer. Era la richiesta di andare oltre. Oltre Berlinguer, diciamo la verità, un po’ ci siamo persi. Si sente il bisogno di tornare su quei passi, per studiarli e trarne insegnamenti. È una convinzione ragionata e anche un invito al Pd e a tutto il campo progressista.

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