Biden non ci ha pensato un attimo: ancor prima del suo insediamento ha iniziato a lavorare a un rafforzamento delle regole sul lobbying e sui conflitti di interessi allentate da Trump nel corso del suo mandato. Come anticipato dal Washington Post, il «piano etico» del neopresidente americano riprende molte delle misure previste dall’amministrazione Obama, ma si riserva di introdurne alcune nuove e più stringenti.

L’esercito dei 12mila lobbisti

Washington è da sempre sinonimo di lobbying come dimostrano gli oltre 12mila professionisti dei public affairs censiti dalla ong americana OpenSecrets, che certifica anche i fatturati miliardari ormai raggiunti dal settore.

L’intervento di Biden potrebbe sanare alcune delle più macroscopiche lacune da tempo denunciate dalla senatrice Elizabeth Warren, a cominciare dal cosiddetto golden parachut”, il bonus che i precedenti datori di lavoro concedono a chi accede a incarichi governativi.

A conferma della volontà di regolamentare i rapporti tra soggetti privati e membri dell’amministrazione, il piano Biden prevede interventi di limitazione del fenomeno delle porte girevoli (revolving doors) che in Italia è di recente tornato sotto i riflettori quando Pier Carlo Padoan, ex ministro dell’Economia (e deputato del Partito democratico) è entrato nel consiglio di amministrazione di Unicredit come presidente in pectore. Le porte girevoli sono un “attentato” all’integrità pubblica perché permettono al settore privato di avvantaggiarsi di informazioni e contatti riservati che un ex politico o membro dell’esecutivo ha acquisito nel corso del suo mandato.

Secondo le indiscrezioni apparse sui media americani, verrà fatto divieto per i funzionari in uscita di esercitare pressione sull’amministrazione per tutta la durata della presidenza Biden. Provvedimento adottato a suo tempo anche da Donald Trump nella prima settimana della sua presidenza ma revocato alla fine del mandato.

Il lobbying ombra dei consulenti

Anche sul lobbying il neopresidente intende rafforzare le attuali misure: verrà posto un freno alle pratiche di “shadow lobbying”, cioè i casi in cui i funzionari uscenti offrono consulenze alle società di lobbying senza entrare in contatto diretto con i decisori pubblici (e senza essere costretti a registrarsi come lobbisti). Le nuove regole di Biden estendono a due anni (attualmente uno) il divieto per chi ha assunto incarichi di alto livello di fare pressione sulle istituzioni per le quali lavoravano, anche se non in veste di lobbisti. Il divieto sarà anche esteso ai contatti con gli alti funzionari della Casa Bianca. Per chi arriva al governo dal settore privato, sarà imposto il divieto (cancellato da Trump) di lavorare per le agenzie su cui l’interessato aveva precedentemente svolto attività di lobbying.

Anche in Europa la presidente Von der Leyen ha confermato di voler prendere misure più efficaci in materia di trasparenza e integrità pubblica. Non che manchino le regole, sulla carta molto più rigorose di quelle degli Stati membri. Il problema è la loro mancata applicazione, che ha portato a numerosi scandali negli ultimi anni (dal più noto, quello dell’ex presidente della Commissione Barroso approdato a Goldman Sachs senza rispettare il cosiddetto periodo di raffreddamento tra un incarico pubblico e uno privato, ai tanti casi meno eclatanti di alti funzionari europei che - terminato l’incarico - prestano competenze, contatti, informazioni a società di lobbying). Come ha di recente confermato Vera Jourova, commissaria europea alla trasparenza, Bruxelles «ha bisogno di maggiore fiducia, ma questa fiducia se la deve guadagnare».

Per questo, un nuovo comitato etico comune al parlamento, al Consiglio e alla Commissione da portare a casa entro questa legislatura europea potrebbe essere lo strumento per contrastare i casi di conflitti di interessi, di porte girevoli e per “sorvegliare” le attività di lobbying che sono andate intensificandosi nel corso degli anni.

L’urgenza di agire

Mentre Washington e Bruxelles si muovono, Roma continua a dormire. L’Italia sta per ricevere la più ingente iniezione di fondi pubblici dai tempi del piano Marshall - fondi che fanno gola a tantissime imprese private - senza che sia stata approvata una legge sul lobbying, ferma da diversi mesi (come quella sui conflitti di interessi) alla Camera. Un nuovo patto di maggioranza che tenga conto dell’importanza strategica che il Next Generation Eu avrà sui destini del nostro Paese non può prescindere da una normativa stringente che garantisca trasparenza sulle scelte che la politica dovrà compiere nei prossimi mesi.

Sta a noi pretendere che le istituzioni rendano tracciabili i rapporti con i portatori di interessi, per sapere non solo chi cerca di mettere le mani sui fondi del Recovery plan, ma anche per verificare che i politici diano udienza e ascolto non solo ai lobbisti del settore privato, ma anche a tutti quei soggetti che si battono per difendere i diritti dei giovani, per tutelare l’ambiente, per garantire processi di inclusione a chi sembra stato dimenticato.

Un nuovo patto di maggioranza non potrà che ripartire da un’accelerata sul pedale della trasparenza, contribuendo a fugare i dubbi sulla gestione opaca e poco inclusiva del Piano di resilienza nazionale.

© Riproduzione riservata