Il processo di avvicinamento al Pnrr sembra aver reintrodotto nelle arene decisionali due ingredienti che negli ultimi anni avevano cominciato a scarseggiare. Il primo è l’illusione che le risorse disponibili siano così abbondanti da rendere poco interessante ogni valutazione degli interventi da finanziare. È però un’illusione: ogni euro speso in progetti poco efficaci tenderà a tradursi in risorse sottratte a migliori impieghi. È anche possibile che la mancanza di una robusta e circostanziata visione sulle priorità conduca all’inaugurazione di un gran numero di cantieri strutturalmente sottofinanziati, con l’allungamento della lista, già cospicua, delle tante incompiute esistenti sul suolo nazionale, le quali ovviamente, proprio in quanto incompiute, certo non sono efficaci nel sostenere lo sviluppo economico.

Promesse pericolose

Il secondo ingrediente, ispirato a una sorta di keynesismo “all’italiana”, consiste in un rinnovato interesse per la spesa pubblica tout court, cui affidare, senza ulteriori mediazioni, la salvezza di intere parti del paese. Si moltiplicano così le narrazioni sugli effetti indotti dalle “grandi opere”, meglio se realizzate nel Mezzogiorno: è di pochi giorni fa la nuova campagna a favore del Ponte sullo Stretto, supportata da comunicati stampa di soggetti interessati alla sua realizzazione, secondo i quali essa genererebbe nientemeno che 100mila posti di lavoro. Che tipo di lavoro e per quanto tempo, non è dato di conoscere.

A questo mirabolante annuncio è curiosamente seguito quello altrettanto mirabolante progetto di una linea di Alta velocità ferroviaria tra Salerno e Reggio Calabria, composta tra l’altro da 167 km di gallerie. Progetto che non è un progetto, nel senso che manca ancora di componenti obbligatorie per legge quali la stima della domanda, la valutazione ambientale e quella economica.

Ora, le spicce modalità di comunicazione odierne sorvolano su diversi decenni di studi scientifici relativi al rapporto tra infrastrutture e sviluppo. Oggi sappiamo che le prime possono essere una condizione importante, ma certo non sufficiente, per il secondo. Almeno cinquant’anni di fallimentari politiche di sviluppo nel Mezzogiorno sono lì a dimostrarlo, anche con una certa chiarezza.

Secondo diversi studi l’impatto della costruzione dell’autostrada A3 sullo sviluppo della Calabria è stato abbastanza marginale e sarebbe interessante capire quale sia stato l’effetto in anni più recenti della sua completa riqualificazione, lungamente invocata per avviare una nuova fase di crescita che non sembra essersi realmente innescata.

In arene decisionali affollate, l’assenza di ogni verifica circa la bontà delle previsioni portate a supporto dei singoli interventi si trasforma facilmente in un incentivo avverso: se il Ponte genera 100mila impieghi, non è difficile prevedere che presto qualcuno torni a parlare, come una volta Silvio Berlusconi, di «un milione di posti di lavoro», generati – magari – dalla ricostruzione del Colosseo o di un nuovo Ponte tra Anzio e Arbatax.

Serve una caparra

Per evitare una deriva di questo genere, ci permettiamo di avanzare quella che Jonathan Swift avrebbe potuto chiamare una «modesta proposta». È una soluzione semplice, ispirata alla logica del buon padre di famiglia: chi ha fatto le previsioni e si pone come attivo proponente di opere tanto miracolose per l’economia, dovrebbe essere ben disposto a investire un po’ del proprio capitale, senza limitarsi a spendere quello degli altri (noi). Cioè a condividerne il rischio. Quindi, una volta valutati i costi dell’opera, il proponente versa una modesta caparra, ad esempio del 10 per cento del costo, che riavrà con i giusti interessi solo una volta che gli obiettivi da lui usati a supporto della decisione (traffico e posti di lavoro, ad esempio) saranno raggiunti e certificati. Oppure, più semplice, riceverà in anticipo solo l’80 per cento dei costi dell’opera e il restante 20 per cento gli verrà rimborsato una volta che agli italiani saranno garantiti i benefici promessi con tanto vigore. Perché altrimenti un giorno potrebbe arrivare qualcuno a venderci la fontana di Trevi.

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