In queste settimane si è tornati a discutere della cosiddetta 18app, o per meglio dire, perché di «App» non si tratta e forse questo non aiuta a ragionarne serenamente, di quelle risorse che ormai da sei anni sono a disposizione di ogni ragazza e ragazzo per acquisti in campo culturale al momento del compimento del 18esimo anno.

Si sono dette molte cose su questa scelta si dall’inizio. Nata nel clima del terribile massacro del Bataclan per reagire al terrore e all’intolleranza proprio attraverso l’investimento in cultura.  

Pensata innanzitutto per favorire e sostenere la partecipazione ad eventi dal vivo. Estesa da subito ai libri, con diverse discussioni, e poi all’intera gamma delle opzioni culturali,  ha il triplice effetto di spingere i più giovani a frequentare, fruire, acquistare cultura; sostenere il settore, provare ad intervenire per rompere il drammatico impoverimento culturale che caratterizza sempre di più, e senza l’attenzione che meriterebbe, il nostro Paese.

Fin dall’inizio si è messo in discussione di questo intervento la sua natura di bonus- verso cui si accumulano da tempo le ormai note e non sempre fondate critiche- così come si è da subito ragionato di subordinarlo ai redditi familiari e al calcolo dell’Isee.

Un’ipotesi quest’ultima intuitivamente logica, per non disperdere risorse verso chi non ne ha bisogno. Ma in realtà foriera di molti pericoli e con un difetto di fondo. Favorire la semplicità dell’accesso a queste risorse è fondamentale. Già oggi non tutti gli aventi diritto le richiedono.

Complicare la richiesta ammazzerebbe il progetto. E se non è proprio questo l’obiettivo basterebbe questo per convincersi a desistere. Ma non solo. Quando hai diciotto anni stai iniziando a sviluppare la tua autonomia.

Ci sono famiglie benestanti magari anche ben disposte verso altri acquisti ma restie a sostenere certe scelte culturali. Lo sviluppo di un’autonomia in questo campo è quanto mai preziosa. E del resto il reddito della famiglia non misura certo in reddito o la ricchezza di chi riceve questa spinta culturale.

Ma soprattutto l’idea che nella democrazia, alla metà degli anni 2000, ragazze e ragazzi diventati cittadini ricevano in mano l’arma della cultura è uno straordinario concetto che andrebbe preservato con molte più cura e attenzione di una discussione lampo di pochi giorni in una legge di bilancio con natura emergenziale.

E del resto proprio per questo abbiamo proposto invece di un intervento frettoloso di darci un tempo e approfondire una valutazione. Anche noi abbiamo pensato a misure ulteriori, come una carta cultura per tutti i lavoratori. Ci sono i dati da analizzare, e sono dati straordinari. E allora perché non provare insieme a fare meglio? 
Del resto già in passato si era rischiato l’affossamento. Non giochiamoci così una delle poche azioni rivolte ai più giovani, anche come messaggio nel rapporto tra le generazioni sarebbe un errore.
E del resto basterebbe riascoltare le sagge parole del tanto celebrato ma poco ascoltato Piero Angela per capire che ci sono occasioni in cui fermarsi è segno di intelligenza.

© Riproduzione riservata