Non solo proroga senza gara, ma adesso anche esenzione dall’Imu  e stop ai contenziosi per ch non ha pagato i canoni, con un condono molto conveniente: con il decreto legge Agosto approvato il 7 ottobre al Senato il governo Conte II completa un ciclo di riforme in materia di concessioni balneari senza precedenti. La riduzione degli arrivi turistici internazionali, come conseguenza del Covid-19, e le difficoltà di gestione delle spiagge per i distanziamenti, hanno prodotto impatti sul settore con richieste di aiuto che sono stati accolti dalla maggioranza e inseriti in diversi provvedimenti, che meritano però di essere approfonditi.

I decreti

Il primo e più importante intervento è contenuto nel decreto legge Rilancio approvato definitivamente a luglio, dove è stata confermata la proroga al 2033 delle concessioni balneari per le spiagge, superando i dubbi dell’avvocatura di stato per l'evidente contrasto con le direttive europee che prevedono procedure di evidenza pubblica. Con il decreto Agosto, appena approvato dal Senato, la proroga viene ampliata anche alle concessioni su laghi, fiumi e strutture per la nautica di diporto. Inoltre è previsto che i balneari non dovranno pagare l'Imu nel 2020 e per chi non ha pagato i canoni in questi anni è previsto un condono, si bloccano tutti i contenziosi sui mancati pagamenti e si può  chiudere ogni pendenza pagando il 30 per cento di quanto dovuto. Viene anche risolto il problema dei cosiddetti canoni pertinenziali, che riguardava circa trecento stabilimenti che avevano subito aumenti in questi anni.

Il tema delle concessioni

Il Covid-19 ha davvero cambiato tutto. Solo due anni fa, a seguito del crollo del viadotto autostradale di Genova e sull’onda dell’indignazione generale si era aperto un confronto rispetto alle concessioni che aveva visto protagonisti in particolare i Cinque stelle. Perché la scarsa trasparenza e gli inadeguati controlli rispetto agli investimenti, a fronte di guadagni enormi, non riguarda nel nostro Paese solo la gestione di infrastrutture pubbliche ma larga parte delle concessioni: dagli aeroporti alle dighe, dagli stabilimenti balneari alle cave. Più pragmaticamente la Lega ha sempre tenuto separato il giudizio sulla famiglia Benetton per la gestione delle autostrade da quello per le altre concessioni, tanto da diventare in poco tempo il primo interlocutore dei balneari. È dell’allora ministro del Turismo Gian Marco Centinaio il primo provvedimento di proroga delle concessioni, approvato nella legge di Bilancio del primo governo Conte. E Salvini, la cui immagine pubblica è oramai associata allo stabilimento Papeete (di proprietà dell’eurodeputato leghista Massimo Casanova), è da sempre in prima fila nella guerra contro la famigerata direttiva Bolkestein che prevede l’obbligo di gare. Ma a contendere il rapporto con la categoria è sceso in campo il Pd, a spingere questi nuovi provvedimenti con un ruolo di primo piano del presidente dell’Emilia Stefano Bonaccini e dei ministri Dario Franceschini e Francesco Boccia. È curioso che proprio il partito più europeista stia trascinando il paese in una guerra contro Bruxelles sulle proroghe che ricorda la vicenda delle quote latte, per la determinazione di andare contro tutte le sentenze che in questi anni hanno sempre dato torto all’assegnazione di “beni limitati e di valore ambientale” diretta e senza trasparenza.

Se gli interessi dei balneari sono chiari, ben rappresentati e tutelati, viene da chiedersi di cosa invece avrebbero bisogno le aree costiere italiane, quali problemi soffrono e su quali politiche si dovrebbe puntare. Una fotografia della situazione è raccontata in un recente rapporto di Legambiente con numeri e analisi dei processi di trasformazione in corso che dovrebbero far riflettere. 

La cattiva gestione delle spiagge

Il primo cambiamento di rilievo è che risulta sempre più difficile trovare spiagge libere, ossia quelle dove ci si può sdraiare a prendere il sole e accedere al mare gratuitamente. In Versilia, Romagna e alcuni tratti della Liguria siamo arrivati a quasi il 90 per cento di spiagge in concessione e quelle libere sono relegate a spazi tra stabilimenti e ai tratti non balneabili. Nel resto d'Italia i numeri sono meno impressionanti e con rilevanti differenze, più bassi al sud, ma ovunque cresce il numero delle spiagge in concessione e siamo comunque a già oltre metà delle spiagge non più libere con un record europeo. 

Il secondo fenomeno preoccupante riguarda l'erosione costiera. In Italia le spiagge si stanno ritirando, dal 1970 i tratti di litorale soggetti a erosione sono triplicati ed è come se avessimo perso 23 metri di profondità di spiaggia sui 1.750 chilometri di costa a rischio. Non solo, spendiamo sempre più soldi in opere di ripristino dei litorali spesso inutili e invasive. Ma ci vorrebbe soprattutto un’idea di come affrontare il problema, visto che nei prossimi anni l’erosione si amplierà come conseguenza dei cambiamenti climatici e ampi territori rischiano di scomparire per la crescita del livello dei mari come prevedono gli studi elaborati dall’Ente nazionale energia e ambiente (Enea).

Gli stabilimenti

Se invece si guarda dentro i quasi undicimila stabilimenti balneari del nostro paese a stupire è soprattutto l’incredibile diversità delle situazioni che si incontrano. Mentre l’attenzione va spesso sul Twiga di Briatore dal fatturato milionario ci sono anche tanti stabilimenti che si riempiono solo per pochi giorni d’agosto e nei weekend. Tutti però pagano pochi euro di concessione. In positivo ci sono da raccontare tante storie di gestione virtuosa delle spiagge con attenzione alla sostenibilità e tutela ambientale, all’abolizione della plastica e con energia da fonti rinnovabili, con prodotti a chilometro zero e materiali naturali, che garantiscono l’accessibilità per tutti. Il problema è che in altre spiagge, come a Ostia, si consente di alzare muri lunghi chilometri che impediscono di vedere il mare e di accedervi o a Pozzuoli di costruire reti e barriere intorno a spiagge che sono di fatto privatizzate. E ancora, troppe spiagge sono inquinate: in 260 chilometri di litorale è vietata la balneazione ma sono spesso quelle più frequentate, perché nelle città costiere.

I canoni troppo bassi

In questo caos di situazioni tanto differenti ci sarebbe un gran bisogno di mettere ordine e introdurre innovazioni, in modo da scommettere su un futuro di qualità per un patrimonio unico. Per farlo bisognerebbe però scegliere in quale direzione si vuole portare il turismo costiero e da che parte si sta. Perché non è tutto uguale, non si può difendere sia la conduzione familiare degli stabilimenti, che tuttora prevale, chi punta su sostenibilità e tutela dell’ambiente, ma anche chi invece asfalta le dune per costruirci parcheggi abusivi o costruisce muri e gestisce la spiaggia come se fosse proprietà privata. Non è giusto, come non lo è che si continuino a pagare canoni così bassi e slegati dai guadagni degli stabilimenti. Infine, prima che sia troppo tardi, si dovrebbe fissare un limite alle spiagge in concessione, come hanno fatto tutti gli altri paesi europei, per fare in modo che anche chi non ha soldi possa andare al mare, come dovrebbe essere normale in un paese civile.

Se si mettono in fila i temi si comprende come lungo gli ottomila chilometri di aree costiere italiane si giochi una partita decisiva per il futuro del Paese. Perché si parla di lavoro e di diritti, persino di opportunità per i giovani e di disuguaglianze. Di turismo, per ampliare, qualificare e diversificare l’offerta. Di rilancio di tante aree costiere degradate da abusivismo e mancata depurazione. Ma soprattutto queste aree sono in prima linea rispetto a uno scenario climatico che rischia di stravolgere le aree costiere del mediterraneo. Dobbiamo davvero augurarci un risveglio della politica, perché l’opportunità che si apre ora con i fondi europei del Next Generation Eu non vada sprecata e che si accelerino politiche che in questo caso sarebbero pienamente coerenti con gli obiettivi europei.

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