L'attenzione a quel che usiamo e consumiamo è uno dei fattori indispensabili per combattere il mutamento climatico come hanno chiesto, di nuovo a gran voce venerdì, i ragazzi e le ragazze dei Friday for Future.

E alcune nostre scelte di consumo e, a maggior ragione, di voto in Parlamento, possono cambiare l'ambiente e la vita di milioni di persone e esseri viventi.

E' il caso dell'olio di palma usato e incentivato (con un miliardo di euro all'anno, dieci volte il taglio dei parlamentari) nei biocarburanti e nella produzione di elettricità. Nasce così il “gruppo informale” parlamentare “stop olio di palma”.

L'olio di palma bruciato in Italia è stato nel 2018 ben 1,2 milioni di tonnellate, ci informa Legambiente citando e integrando dati ufficiali del Gestore servizi energetici (Gse) per conto dello stato italiano. Tutto importato da Indonesia e Malesia, dove, ci dice la Commissione europea, le piantagioni di olio di palma hanno sostituito negli ultimi vent'anni oltre 33 milioni di ettari di foresta vergine e di torbiere, una superficie equivalente a Italia e Svizzera messe insieme.

Foreste e soprattutto torbiere rappresentano lo scrigno naturale di biodiversità, l'habitat di migliaia di specie, di piante e animali d'acqua: l'orango, la tigre della Malesia, il rinoceronte indonesiano sono solo alcuni di questi.

Foreste e torbiere sono abitate da popolazioni indigene, che vengono cacciate dalle loro terre, costrette a lavorare nelle piantagioni con le famiglie (con conseguente lavoro minorile) a meno di un dollaro al giorno e nella stagione secca assoldati come piromani a 30 centesimi al giorno. E poi ad emigrare, verso le città o altri continenti.

Foreste e torbiere rappresentano anche il più grande “serbatoio terrestre” di carbonio naturale, CO2 che con gli incendi e le coltivazioni viene liberata in atmosfera.
Ogni litro di olio di palma bruciato emette indirettamente 3 volte più CO2 di un litro di gasolio. Un paradosso per chi ci vende biodiesel o elettricità spacciandola come Green. Tanto che l'Agcm, l’autorità Antitrust, ha condannato per greenwashing l'Eni. Tanto che l'Eni stessa ha solennemente annunciato di non usare più olio di palma dal 2023.

Ecco, il gruppo informale di deputati e senatori di diversi partiti “stop palmoil” si propone di non incentivare più per legge la combustione di olio di palma nella produzione di biocarburante e energia elettrica “verde”, che costituisce il 70 per cento circa del consumo nazionale. Incentivati con quali soldi?

A fare i conti è lo stesso Gse per conto dello Stato. L'automobilista italiano spende l'1 per cento in più per un qualsiasi pieno per finanziare l’aggiunta di biocarburanti costituiti per la metà da olio di palma e derivati.

La famiglia paga un po' più cara la bolletta elettrica per sovvenzionare quella prodotta da 500 centrali a combustibili “bioliquidi”, costituiti per l'80 per cento da olio di palma. Nel 2018 poco più di 900 milioni di euro.

Tutte buone ragioni, pensiamo per connettere deputati e senatori di buona volontà a studiarsi dossier, coinvolgere i colleghi e ridurre velocemente il consumo di un olio alimentare nelle combustioni inquinanti.

Tutte buoni ragioni per promuovere una lobby buona, trasversale e trasparente a vantaggio degli italiani e del mondo intero.

Niente a che fare con le “relazioni istituzionali ed economiche” legati al commercio del petrolio, la costruzione di gasdotti o il regime bielorusso. Anzi decisamente dall’altra parte della barricata.

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