È interessante aggiungere un punto di vista, quello delle città, al bel confronto che grazie al vostro giornale si è aperto sul nuovo “Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili”. Cambiare il nome stesso del Ministero appare, almeno in potenza, l’atto di indirizzo programmatico in grado di dettare con più forza una nuova visione: più di quanto possano fare qualsiasi norma o titolo delle missioni del PNRR (una, peraltro, è relativa proprio alle “infrastrutture per la mobilità sostenibile”). Questo cambiamento, la cui concretezza dipenderà dagli atti conseguenti, intanto parla non solo all’opinione pubblica, ma anche e anzitutto alla tecnostruttura del dicastero e al mercato, riorientando l’attività amministrativa e gli investimenti pubblici e privati, e agli enti locali, che da tempo chiedono che la mobilità sia parte di un'agenda urbana nazionale.

Il caso di Bologna

Nel 2012 il Comune di Bologna trasformò l’ufficio preposto in “Settore Mobilità sostenibile”: oggi la città ha un centro storico molto più pedonale, una tangenziale delle biciclette e non più solo quella automobilistica, servizi di sharing mobility, tre linee di tram in progettazione. Le parole, se unite, necessariamente, a una forte volontà politica e capacità tecnica, possono aiutare a cambiare la realtà.

La scelta lessicale della nuova denominazione del Ministero è importante. Sull’aggettivo “sostenibili”, molto è stato detto: dovrà dimostrarsi alla prova dei fatti il setaccio vero delle grandi e piccole scelte concrete. Ma ancor più significativa è la sostituzione dei “trasporti” con la “mobilità”. Meno evidenziata, è una rivoluzione che ribalta l’ottica: le infrastrutture e i mezzi di trasporto, la cui costruzione spesso nella storia del nostro paese è apparsa quasi l’obiettivo in sé, tornano uno strumento, mentre il fine diventa garantire la mobilità, di persone e merci, e la sua sostenibilità.

Una promessa

A livello sia europeo che locale, da anni la mobilità sostenibile è una politica ben definita. L’Unione europea ha una precisa strategia, anche in Italia i Comuni devono approvare i PUMS, piani urbani di mobilità sostenibile, mettendo al primo posto trasporti pubblici, ciclabilità e pedonalità, ancor più a seguito del Covid-19. E’ decisivo che ora si rafforzi anche la politica nazionale della mobilità nelle città e aree vaste, dove più si concentrano gli spostamenti e i problemi di emissioni inquinanti e climalteranti, incidentalità, consumo di energia e suolo.

Visto dal basso, dunque, il nuovo nome è una promessa, o meglio una premessa, di per sé non sufficiente, ma necessaria per consolidare a livello statale un cambiamento di visione politica, avviato da precedenti ministri e già radicato in Europa e in diversi territori, in uno dei settori meno sostenibili e più determinanti per la qualità ambientale, della vita dei cittadini e lo sviluppo economico.

Dai veicoli alle persone

Naturalmente, avrà senso compiuto se si tradurrà in uno scatto sostanziale e coerente nelle politiche e nei progetti. Magari proprio nella direzione indicata dalla “Agenda Urbana per lo Sviluppo Sostenibile” di ASVIS, di cui era portavoce l’oggi ministro Enrico Giovannini: raggiungere nelle città almeno il 50 per cento di spostamenti con mezzi alternativi ad auto e moto, aumentando la mobilità pubblica e ciclo-pedonale, anche per rendere più democratico lo spazio pubblico, la cui eccezionale importanza abbiamo riscoperto con la pandemia, restituendolo dai veicoli alle persone.

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