«Cacciamo gli stranieri extra-comunitari che minacciano la nostra sicurezza, rimandiamoli a casa loro». Poco importa se vengono calpestati i loro più elementari diritti umani. Poco importa se sono stati torturati nei campi libici o annegano in mare.

Questo semplicismo non è però rimasto confinato nel tema sicurezza ma ha purtroppo invaso anche quello della giustizia. Insomma, una forma di populismo giudiziario figlio di quest’epoca post-ideologica. Ma non possiamo continuare a essere ipocriti: la negazione dei fondamentali diritti civili non è un fatto cosi inusuale per le nostre aule giudiziarie. Soprattutto se parliamo degli ultimi, dei derelitti, degli immigrati per esempio.

Prendiamo il tema prescrizione. Più di un magistrato di indiscusso rilievo ha approfittato della tribuna offertagli in numerosi talk-show per far passare il concetto che i problemi e le lentezze della giustizia sono colpa degli avvocati. L’allarme e il giusto sdegno per il rischio che la prescrizione cancelli alcuni processi di grande rilevanza pubblica e il rischio impunità per gli autori di gravi reati ha fatto il resto. Tutta colpa degli avvocati, dunque. Si è invocata una riforma della giustizia, questa volta, però, le conseguenze nefaste degli interventi legislativi sono notevoli.

In cerca di consensi

La battaglia politica su questi temi è stata condotta per guadagnare il consenso del grande pubblico. Quel grande pubblico che difficilmente può comprendere la reale portata dei provvedimenti «urgenti» che vengono invocati come soluzione di tutti i mali. Di qui le pseudo riforme sulla legittima difesa o sulla prescrizione, che a mio avviso andrebbero cancellate o quantomeno riviste unitamente a quelle in tema di sicurezza citate dall’ex ministro della giustizia Andrea Orlando.

Anche il processo per la morte di Stefano Cucchi nelle sue molteplici articolazioni rischia la prescrizione: non possiamo, tuttavia, immaginare di riformare un intero sistema sull’onda emotiva di una o più singole vicende giudiziarie. Quando si tenta di fare ciò il risultato è che la toppa diventa peggio del buco.
Tuttavia il primo tra tutti i recenti provvedimenti legislativi che dovrebbe immediatamente essere cancellato o revisionato è quello che riguarda il delicatissimo argomento delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Esigenze di privacy, è la motivazione alla base di questa nuova procedura che mette a rischio il diritto alla difesa garantito dalla Costituzione.
Partendo dal presupposto errato che a dare ai giornalisti le intercettazioni, imbarazzanti magari per qualcuno di importante, sono sempre e solo gli avvocati e consci del fatto che una legge bavaglio in materia era stata già più volte osteggiata con successo nei precedenti governi, è nata la norma che mette in angolo gli avvocati, non più in condizione di poter disporre di una prova spesso decisiva o comunque fondamentale.

Cosa cambia

Fino al primo di settembre avevo, al termine delle indagini, la possibilità di recarmi negli uffici delle procure della repubblica e ottenere copia di tutti gli audio delle intercettazioni eseguite indipendentemente dal fatto che queste potessero essere indicate o meno come elemento d’accusa dei magistrati. Potevo ascoltarle, risentirle tante volte, senza sosta. E così che ho trovato frammenti, per l’accusa inutili, che hanno portato invece a scoprire verità importanti. Questi frammenti, nella migliore delle ipotesi, erano sfuggite agli inquirenti. Ci sta. È il gioco delle parti.
Dal primo settembre, però, questa possibilità è stata abolita per legge. Sarà di fatto la polizia giudiziaria e il magistrato che decideranno a priori quali conversazioni saranno rilevanti per il giudice e solo di queste l’avvocato potrà avere copia degli audio.
Tutte le altre verranno negate.
Certo, mi si obbietta, potrò eventualmente ascoltarle negli uffici giudiziari ma senza farne copia.
Ecco che qui si raggiunge l’apice dell’ipocrisia. Ascoltare mesi di intercettazioni negli uffici giudiziari, spesso con audio di pessima qualità, è una vera e propria limitazione per la parte del processo che deve difendere. Immaginate, nei maxi processi, centinaia di avvocati che rappresentano gli imputati andare tutti ad ascoltare le intercettazioni loro negate nelle procure? Oltre a quelli di parte civile, che rappresentano la parte offesa, ovviamente.

Giustizia senza strumentalizzazioni

In pratica con una sola norma è stato spazzato via il diritto di accesso alla prova agli avvocati difensori cosi come a quelli di parte civile creando una signoria assoluta su di essa di polizia giudiziaria e pm.
Gli effetti saranno devastanti.
Mi sono permesso di rappresentare tutto questo al ministero che ringrazio per avermene data occasione.
Questo il risultato: «La Camera ha impegnato il governo a valutare la possibilità di prevedere, attraverso ulteriori iniziative normative, la facoltà per il difensore anche di estrarre copia degli atti visionati, al fine di avere la possibilità di una preliminare analisi completa di quanto raccolto dall’accusa e di fatto eliminare lo svantaggio giuridico ed ingiustificato per l’indagato».
È poco ma è già qualcosa. Questa facoltà andrebbe estesa anche alle parti civili, cioè le vittime. Ovviamente. Poniamo fine alle strumentalizzazioni politiche palesi o occulte in materia di giustizia.
Restituiamole quel dovuto sacro rispetto senza utilizzare scorciatoie. Diversamente, il rischio è l’irrimediabile perdita di fiducia dei cittadini in tutto il sistema e nelle sue istituzioni. Orizzonte spaventoso. Saremmo veramente miopi e incoscienti.

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