L’evoluzione tecnologica e i modi in cui oggi si producono, diffondono, e fruiscono opere e materiali culturali e creativi hanno reso necessario un aggiornamento di come tuteliamo il diritto d’autore e i diritti connessi. L’Europa è per questo intervenuta lo scorso anno con una direttiva (2019/790) che gli Stati devono adesso trasporre negli ordinamenti nazionali. Cos’è successo, però, nel frattempo? In sede di conversione del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, è stata approvata una disposizione che estende le competenze dell’Agcom ai servizi di messaggistica che utilizzano indirettamente risorse di numerazione locale per compiere violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi. Lasciando così intendere che l’Autorità possa monitorare anche i servizi di comunicazione interpersonale. La direttiva europea ha già chiarito che questi servizi devono restare fuori dai controlli. Ma allora cosa potrà e dovrà realmente fare e non fare l’Agcom in forza di questa disposizione? Noi pensiamo che ci sia una bella differenza tra servizi di condivisione di contenuti e messaggistica personale. Se ha senso che qualcuno domani controlli se ci sono canali Telegram con migliaia di utenti “one-to-many” che magari diffondono articoli di giornale violando il diritto d’autore, sarebbe assolutamente da condannare che qualcuno venisse a verificare se, magari sempre su Telegram, ci stiamo scambiando un articolo di giornale con un amico.

La disposizione introdotta nel decreto-legge non è chiara su questo, e non crediamo si tratti di lana caprina. Perché non possiamo certo accettare che qualcuno acceda alla nostra corrispondenza privata (online); che sbirci dentro i nostri Whatsapp e dentro i nostri messaggi personali sui vari canali social. In palese contrasto con l’articolo 15 della Costituzione, che garantisce l’inviolabilità della corrispondenza «e di ogni altra forma di comunicazione», che non è più – da parecchi anni ormai – solo la busta che ci arrivava nella buca delle lettere.

Quindi, mentre c’è una normativa europea che ha cercato un punto di equilibrio e bilanciamento tra diritti tutti ugualmente meritevoli di tutela, è importante avere conferma che il legislatore italiano non stia facendo fughe in avanti nella direzione sbagliata. Abbiamo per questo scritto una lettera al Presidente del Consiglio per chiedere conferma che nessuno potrà venire a curiosare dentro i cellulari dei cittadini. A meno di avere in mano, come dice sempre l’articolo 15 della Costituzione, un «atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Ma questa, si sa, è un’altra storia.

Alessandro Fusacchia, (deputato e co-fondatore di Movimenta), Luca Bolognini (Istituto Italiano per la privacy e la valorizzazione dei dati), Fabrizio Barca (Forum disuguaglianze diversità), Giulio De Petra (Scuola critica del digitale), Patrizia Feletig (Copernicani), Federico Ferrazza (Wired), Alessandra Carbonaro, Paolo Lattanzio, Rossella Muroni, Erasmo Palazzotto, Lia Quartapelle (deputati)

 

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