Confesso: non mi sono mai occupato molto di clima. Gli orsi polari morenti mi lasciavano abbastanza indifferente, dello scioglimento dei ghiacci mi importava pochino. Appartengo a una generazione cresciuta negli anni Novanta e piena di colpa per il benessere eccessivo e convinta che l’ambiente si proteggesse con i piccoli gesti: spegnere la luce uscendo da una stanza, chiudere il rubinetto mentre si lavano i denti.

Non avevo capito bene l’entità del problema.

Dopo il Covid non abbiamo più alibi: abbiamo tutti imparato che ci sono eventi poco probabili ma catastrofici, che non si possono del tutto prevenire e che sono quasi impossibili da gestire quando si materializzano. A differenza della pandemia, la catastrofe climatica è prevedibile e ormai quasi certa.

Sappiamo parecchie cose, ma ne ignoriamo ancora molte. Uno studio appena uscito di Robert S. Pindyck della Sloan School of Management al Massachusetts Institute of Technology aiuta a mettere in fila le questioni.

Partiamo dai fondamentali: ci sono tanti gas che minacciano il clima, ma il grosso dell’attenzione è per l’anidride carbonica (CO2) per due ragioni. Primo: una tonnellata di CO2 ha un impatto sulla temperatura atmosferica 25 volte inferiore quello di una tonnellata di metano, ma una tonnellata di metano svanisce nell’arco di un decennio, una tonnellata di CO2 resiste per secoli.

Questo è il punto più sottovalutato della questione climatica: non si torna indietro. L’anidride carbonica che abbiamo immesso nell’aria con le nostre automobili, con le industrie, con il nostro stile di vita rimarrà lì quasi in eterno. A meno che non sviluppiamo (costose) tecnologie per riassorbirla.

Ripeto: il problema non si risolve da solo.

Guardate questo grafico elaborato da Goldman Sachs: la catastrofica frenata dell’economia mondiale innescata dal Covid ha causato soltanto una minuscola flessione delle emissioni di CO2 che ormai dipendendono soprattutto dai Paesi emergenti, dopo l’impatto del virus è stato minore.

E quindi? E quindi il primo passo per affrontare il problema è capire da cosa dipende il riscaldamento dell’atmosfera. Conosciamo gli ingredienti della catastrofe climatica in atto, ma non come si combinano tra loro e quale sarà il risultato finale.

Il primo parametro è la crescita del Pil: maggiore l’attività economica, più emissioni di CO2 ci sono. Problema: è difficile prevedere come andrà il Pil nei prossimi sei mesi, figurarsi nei prossimi sei anni o sei decenni.

Non si può neppure dare per scontato che se il Pil scende, sia una buona notizia per l’ambiente, avverte la Banca d’Italia: la recessione riduce la domanda di fonti di energia fossili come il petrolio, cala il prezzo e quindi si riduce la pressione a investire in energie rinnovabili, che sono spesso ancora incentivate con risorse pubblicate oggi scarse.

Secondo parametro della catastrofe: le emissioni di CO2, misurate in miliardi di tonnellate (gigatoni), che dipendono anche dall’andamento del Pil. Ma conta anche il terzo ingrediente, cioè la concentrazione di CO2 nell’atmosfera: un gigatone di CO2 aumenta la concentrazione di anidride carbonica nell’aria di 0.128 parti per milione (ppm). Poichè la CO2 già presente si dissipa molto lentamente, col passare del tempo la concentrazione è destinata a crescere. Con quale impatto sulla temperatura? Boh.

L’incertezza è grande: secondo le stime prevalenti dell’IPCC, l’organismo Onu che si occupa di clima, raddoppiate le tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera porta a un aumento di temperatura tra 1,5 e 4,5 gradi. Una forchetta di incertezza enorme che equivale a dire a una persona che la sua aspettativa di vita oscilla tra 25 e 75 anni. E in quanto tempo avviene questo riscaldamento climatico? Non lo sappiamo con certezza, tra i 10 e i 40 anni. Questi parametri vanno sotto il nome di “sensitività climatica”.

Non sappiamo neppure con certezza quale sarà l’impatto di un simile aumento di temperatura. E’ è la prima volta nella storia che l’uomo mette a rischio il mondo in cui si muove, non c’è un’altra età industriale precedente con cui confrontare l’attuale. Possiamo soltanto lavorare di fantasia anche per immaginare quali possono essere i costi per invertire il processo: esisterà mai una tecnologia che potrebbe ridurre del 50 per cento la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera? E quanto costerebbe? Entriamo nella fantascienza.

L’ultimo parametro da considerare è il tasso di sconto. Immaginiamo che tra 50 anni Venezia venga sommersa dall’innalzamento delle acque o che temperature maggiori in Africa spingano un milione di migranti nel nostro Paese. Molti di voi che leggono questo articolo tra 50 anni saranno morti, ci saranno i vostri figli o nipoti. Che valore date oggi a un disastro così lontano nel tempo che non vi riguarda direttamente?

Un esempio che capite tutti: uno zio vi promette 1 milione di euro alla sua morte, realisticamente tra vent’anni. Oppure potete ricevere subito una somma più bassa. A quanto siete disposti a rinunciare per mettere immediatamente le mani sul tesoretto senza aspettare la dipartita dell’arzillo parente? A 100mila euro? A 500mila?

Quando si parla di catastrofe climatica il tasso di sconto è cruciale. Uno sconto diciamo del 5 per cento sulle perdite future del Pil implica che ci sarà molto poco consenso ad adottare oggi politiche (e sacrifici) che servono a contenere un danno lontano. Un tasso di sconto del’1 per cento, invece, legittima azioni più drastiche.

Di fronte a tutta questa incertezza, noi giornalisti possiamo agire soltanto su questo ultimo parametro: il tasso di sconto. Il nostro lavoro nei prossimi mesi, con Domani, sarà di aiutarvi a capire quali sono le conseguenze di un fenomeno che oggi pare inarrestabile, quali sono i costi da pagare per arginarlo e perché è così importante.

Un tasso di sconto a zero sarebbe un grande risultato, vorrebbe dire che almeno voi che leggete considerate la catastrofe futura un problema immediato, che dobbiamo affrontare qui e ora.

Pensate se in Lombardia, a Bergamo o ad Alzano, tutti avessero iniziato a usare le mascherine e a praticare il distanziamento sociale a metà febbraio, quando sembrava una precauzione inutile e perfino l’Organizzazione mondiale della sanità considerava le protezioni ridondanti. Oggi ci sarebbero decine di migliaia di persone vive, e invece sono morte.

Ecco, il nostro giornale sarà la mascherina scomoda da indossare quando ancora non vi sembra necessario. Vi racconteremo la catastrofe climatica in un modo che non vi piacerà, perché la tratteremo come un problema immediato, urgente quanto altri che oggi sono in cima all’agenda della politica tipo il lavoro, la cassa integrazione, le tasse. E’ l’unico modo sensato di affrontare questo problema che abbiamo ignorato troppo a lungo.

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