In tempi di emergenza pandemica, il governo conservatore guidato da Boris Johnson sta riformando l’organizzazione dell’Nhs, ovvero il Servizio Sanitario Nazionale inglese. La riforma arriva 9 anni dopo il Lansley act, ovvero la riforma dell’Nhs approvata nel 2012 dalla coalizione conservatrice-liberaldemocratica guidata da David Cameron.

La nuova riforma

L’iter dell’Health and Care Bill è iniziato nel luglio di quest’anno, e si prevede che entrerà in vigore nell’Aprile del 2022. Nonostante i conservatori avessero 361 parlamentari su 650 in Camera dei Comuni, la proposta di legge ha ottenuto una maggioranza relativamente limitata, con 272 favorevoli e 246 contrari. La proposta è al momento al vaglio della Camera dei Lords, ma non dovrebbe trovare ostacoli significativi.

La legge ha prevedibilmente provocato un dibattito acceso tra gli addetti ai lavori, anche all’interno dello stesso partito conservatore. I timori sono diversi: dall’ulteriore privatizzazione dei servizi sanitari e di assistenza sociale, alla riduzione del personale sanitario che lavora nelle strutture pubbliche, e ancora all’allargamento del gap di qualità dei servizi tra le aree ricche e deprivate del paese.

Il centro della riforma riguarda la riorganizzazione territoriale dell’Nhs. Se la riforma viene approvata così com’è, i Clinical Commissioning Groups (Ccgs), ovvero le attuali organizzazioni sanitarie territoriali, verranno aboliti e le loro funzioni gestite dagli Integrated Care Systems (Ics).

L’amministrazione degli Ics sarà suddivisa tra Integrated Care Boards (Icb) e Integrated Care Partnerships (Icp). Gli Icb, già introdotti nel 2016 in via sperimentale, saranno responsabili della spesa sanitaria e della performance dell’Nhs a livello locale. Le Icp invece saranno utilizzate per sviluppare strategie locali per risolvere i problemi e le sfide sanitarie, assistenziali e di sanità pubblica. Gli Icb dovranno adeguarsi e concretizzare i piani strategici di medio periodo delle Icp.

Ogni Icb svilupperà a propria discrezione la maggior parte delle attività sanitarie e assistenziali locali, e nel caso di restrizioni finanziarie dovrà decidere quali trattamenti saranno prioritari e quali invece saranno considerati non strategici. Molti prevedono che gli Icb avranno limiti finanziari molto stringenti, ed una volta esauriti i budget annuali determinati servizi potrebbero essere posticipati, ingolfando le liste d’attesa o più semplicemente costringendo i cittadini a pagarsi privatamente le cure.

Un altro aspetto molto dibattuto riguarda la presenza dei privati negli Icb e Icp, e quindi della gestione locale dei servizi pubblici. Oltre a rappresentanti del personale sanitario, grandi compagnie private potranno sedersi nel board delle Icp, che, come detto, definiranno il piano strategico locale nel medio termine, mentre un emendamento della maggioranza ha specificato che ai rappresentanti del settore privato verrà impedito di far parte degli Icb soltanto se «ragionevolmente riconosciuti come una minaccia per l’indipendenza del servizio sanitario»

Non si può ancora stabilire come questo limite verrà applicato, e quanto sarà stringente. A ogni modo ciò rappresenta, almeno in linea teorica, un potenziale conflitto di interesse, in quanto molti dei privati che siederanno nei boards degli Icb e Icp saranno potenzialmente gli stessi ad offrire servizi sanitari nella stessa area.

La riforma prevede inoltre che una parte dei servizi pubblici potranno essere delegati ad organizzazioni locali non necessariamente pubbliche. Ciò implica che, a discrezione dell’Icb locale, determinate funzioni o intere parti del budget locale potranno essere gestite direttamente da organizzazioni esterne all’Nhs.

La deregulation

La riorganizzazione permetterebbe anche una potenziale deregulation dei contratti del personale sanitario. Il ministro della Salute avrà infatti una maggiore discrezionalità nell’abolire o ridefinire aspetti legali degli ordini professionali sanitari. La giustificazione, secondo i proponenti, risiede nell’evoluzione tecnologica, la quale può mutare la natura ed i ruoli di alcune professioni sanitarie.

Secondo il Professore Kailash Chand, ex Vicepresidente della British Medical Association, questa deregulation avrebbe l’obiettivo di “deprofessionalizzare e ridurre la qualità dei servizi sanitari nel paese, per rendere lo staff più intercambiabile, più facile da licenziare, più docile e soprattutto più economico”.

Altri nodi riguardano la rimozione degli appalti per i servizi sanitari dalla legge dei contratti pubblici del 2015, la quale potrebbe permettere alle organizzazioni locali di avere più discrezione nel definire gli appalti, e la rimozione della valutazione obbligatoria sui bisogni di assistenza sociale dei pazienti dimessi dagli ospedali, che potrebbe mettere a rischio di essere abbandonati i pazienti più vulnerabili una volta dimessi.

Secondo un autorevole think tank indipendente, il Nuffield Trust, i timori della privatizzazione e di una deregulation che avvantaggerebbe solo i benestanti e le aree ricche del paese sono eccessivi, e anzi la riforma in realtà ridurrà le attività legate al mercato e alla competizione.

Tuttavia, si parla di un paese già oggetto di grandi investimenti privati nel campo sanitario, e di eventi in cui pezzi di servizio pubblico sono passati in blocco alla gestione privata. La resa degli Ics è ancora da validare, ma la loro organizzazione ricorda quella delle health maintenance organisations statunitensi, paese che notoriamente non è dotato di un sistema sanitario esemplare in quanto ad accesso alle cure.

Ciò che è certo è che, a prescindere dalla singola riforma, in gioco c’è la natura realmente universalistica e pubblica dell’Nhs nel primo paese europeo ad aver adottato questo modello. Una sfida che, in un paese attraversato da profondi avvenimenti politici, economici e sanitari, sembra non interessare al governo conservatore.

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