Keyenberg, Kuckum, Oberwestrich, Unterwestrich e Berverath: i cinque paesi al limitare della miniera di lignite Garzweiler, nella regione tedesca del Renania settentrionale Westfalia. Dal 2018 ad oggi la vita degli abitanti dei villaggi è diventata oggetto di politica, senza possibilità di scelta per gli anziani, i preti, i contadini e chiunque volesse tenersi fuori dalle complicate tresche tra stato, clima e imprese di energia. Le case e le vite vissute tra le mura, i boschi e i campi di questi paesini sono l’ultima frontiera che la miniera di lignite Garzweiler ha deciso di conquistare. Entro il 2028, i villaggi saranno spazzati via cosicché Rwe, l’azienda che controlla la miniera, possa estrarre il carbone sottostante.

Alcuni sono fuggiti, vendendo la loro casa per cercare di salvarsi dalla miseria della compensazione offerta da Rwe, ma per altri non c’è stata scelta. Chi si mantiene col lavoro in fattoria, chi ha parenti malati, chi ha grandi famiglie con le radici profonde nella terra di quei villaggi: per loro e molti altri non c’era altra opzione che restare, anche di fronte ad un paesaggio spaccato a metà da una fossa nera di cui da decenni si sono persi di vista gli argini.

La vita all’ombra degli scavi

I settecento rimasti hanno scelto di addormentarsi ogni sera al suono delle escavatrici di carbone: la chiamano «la colonna sonora quotidiana della fine del mondo». Ma chi resta combatte, soprattutto da quando nel 2018 gli attivisti in Hambacher Forst, dopo anni di occupazione della foresta, hanno dimostrato al mondo che vincere, anche contro un colosso come Rwe è possibile. Dopo la vittoria della foresta di Hambach, l’unione dei villaggi è nata sotto il nome di «Alle Dörfer Bleiben» (letteralmente «tutti i villaggi restano»).

Marie, un’attivista di Alle Dörfer Bleiben, racconta quel momento come la scintilla che ha fatto scoppiare l’incendio: i villaggi al margine della miniera si sono uniti e per la prima volta dopo anni di disperazione, espropriazione, rilocazione, distruzione, hanno visto la possibilità di salvare le loro case e i loro villaggi.

La campagna di Alle Dörfer Bleiben ha dato vita a solidarietà inaspettate e connessioni improbabili: gli attivisti che erano accorsi ai villaggi sotto la bandiera della giustizia climatica si sono trovati a condividere un legame emotivo con un villaggio antico. E gli abitanti le cui famiglie abitano queste località rurali tedesche da centinaia di anni, che si erano uniti per proteggere la chiesa di paese e l’orto del proprio compaesano si trovano, due anni dopo, sul fronte di una lotta globale per la giustizia climatica.

È così che gli abitanti rimasti dopo la fuga iniziale sono diventati attivisti e si oppongono alla Rwe. Si tratta di un’azienda con una forte influenza sul governo regionale. Un gioco di parole molto diffuso scherza sulla sigla della regione, “Nrw”, e la somiglianza con il nome dell’operatore: ne esce l’ibrido "Nrwe”. 

Molti attivisti denunciano lo strapotere del magnate del carbon fossile Rolf Martin Schmitz, presidente dell’azienda, che sembra impegnato in una costante autocelebrazione della sostenibilità della sua impresa e ignora le proteste che imperversano tutt’attorno a Rwe e le sue miniere di combustibili fossili. Infatti l'azienda, oltre ad essere contestata dagli abitanti dei paesi, è ogni anno il target di uno dei più clamorosi eventi di attivismo ambientale e disobbedienza civile conosciuti in Germania: «Ende Gelände», una protesta di massa che vede attivisti da tutta l’Europa tradizionalmente vestiti di bianco riversarsi nelle miniere nere di Rwe e bloccare anche per diversi giorni le scavatrici.

I rapporti con la politica

Sulla disputa intorno ai paesi da cancellare per far spazio alla miniera ha inciso anche la pubblicazione (dopo un anno di segretezza) da parte del ministero dello Sviluppo economico tedesco di un rapporto scientifico sulla questione. Il testo dimostra che secondo le norme determinate dalla nuova legge per l’estrazione del carbone in Germania la cancellazione dei paesi non è necessaria.

Il ministro Altmaier ha scelto proprio il periodo prenatalizio, mentre gli attivisti e gli abitanti dei villaggi si preparavano a una pausa dalla protesta, per pubblicare il rapporto, bensì esso sia stato redatta più di un anno fa. Questa uscita è stata accolta dall’indignazione del pubblico in seguito ad un’inchiesta del settimanale Der Spiegel, e per un paio di giorni sui social in parecchi avevano chiesto le dimissioni del ministro. Dopo lo scalpore iniziale, e dopo essersi dimenticati di Altmaier, l’attenzione si è rivolta alla campagna dei paesini: ci si aspettava che la pubblicazione avrebbe dovuto cambiare la situazione dei villaggi, e che l’ondata di attenzione pubblica e mediatica potesse portare addirittura all’elaborazione una nuova legge sul carbon fossile.

Nonostante una richiesta ufficiale del gruppo Alle Dörfer Bleiben e una lettera dei Verdi al presidente della regione, non è successo nulla di tutto ciò. Non è arrivata una dichiarazione politica del partito Cdu (di cui è esponente Altmeier, e che governa la Renania settentrionale Vestfalia) di impegno a favore dei paesi e dei loro abitanti, né tantomeno un temporaneo divieto di continuare la demolizione. L’attivista Marie, che vive in uno dei villaggi al limitare della miniera, racconta che il giorno seguente lo scandalo, gli abitanti del villaggio si sono svegliati al suono delle motoseghe di Rwe che stavano abbattendo una linea di alberi, l’ultima a separare le prime case dal paesaggio nero della miniera. Una mossa non necessaria ma simbolica, quasi un simbolo che sradichi definitivamente le speranze dei locali e qualsiasi dubbio che in quella zona Rwe alla fine avrà la meglio.

Anche Armin Laschet, presidente della regione, aveva affermato ad agosto la necessità di trasferire gli abitanti dei villaggi per minare il carbone. Laschet si appellava al «Bergrecht», il diritto di estrazione, che sancisce il diritto di un’impresa come Rwe a proporre il ricollocamento a persone che vivano nei pressi di un giacimento di materiale che è interesse comune estrarre. Questa legge è stata dichiarata anacronistica non solo da Alle Dörfer Bleiben e altri gruppi del movimento ambientalista, ma anche dal partito dei Verdi e diversi giuristi, tra cui Dirk Teßmer e Thomas Rahner, che già otto anni fa hanno sostenuto la necessità di una riforma di questa legge in un dibattito nazionale. Nella sua forma corrente, sostiene Rahner, la legge è piuttosto un’incentivo all’estrazione, e protegge in maniera sproporzionata le imprese estrattive invece che i cittadini.

Alla luce di questo dibattito, sembra semplicistico parlare del carbone come bene comune. Eppure è al bene comune che si sono appellati Laschet e i politici della Cdu nel comunicare la decisione sul destino dei paesi. Ma dopo la pubblicazione del rapporto che indica chiaramente che il bene comune non giace sotto i villaggi è il momento di chiedersi per il bene di chi è quindi stata redatta la legge sull’estrazione del carbone.

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