La polemica sulla direttiva europea per le case green mi ha fatto fare un balzo indietro nel tempo, un ritorno al futuro in campo energetico. Tra il 2008 e il 2010, lavoravo qui da Londra con associazioni della società civile di tutta l’Unione europea. Spingevamo per un’ambiziosa protezione di consumatori e ambiente attraverso standard minimi di efficienza energetica. Le consultazioni alle quali partecipavamo – a livello nazionale, non solo a Bruxelles –  coinvolgevano centri studi, industria e associazioni di consumatori. Per ogni singola norma. Su ogni singolo prodotto.

Sulla base di questa mia esperienza diretta, posso garantirvi una cosa: no, queste norme non se le inventano dei burocrati una mattina in cui si sono svegliati male, per poter venire in casa vostra a darvi fastidio! Sono il risultato di anni di lavoro e compromessi da parte di esperti di tanti paesi e di ogni settore dell’economia, che cercano di ridurvi le bollette, oltre all’uso di combustibili fossili, magari importati.

La campagna green e i sabotatori

Ho avuto un osservatorio privilegiato su queste dinamiche quando ho contribuito attivamente, in qualità di consulente per la comunicazione, a imbastire la campagna  “Coolproducts for a Cool Planet”. È nata nel 2008 ed è figlia di una coalizione di ong europee impegnate per l’efficienza energetica dei prodotti venduti nell’Ue. La campagna operava in un ambiente abbastanza pacato, nello spirito di dialogo tra istituzioni nazionali, europee e con i rappresentanti dei gruppi industriali coinvolti. Si parlava di evidenza scientifica e di inevitabili compromessi da fare.

A un certo punto della storia sono arrivati, come dal nulla, articoli pieni di allarmismi e falsità. Comparivano in simultanea su svariati giornali britannici. Leggevo cose del tipo: «Bruxelles vuole impedirci di pulire le case con l’aspirapolvere!», «Gli eurocrati ci vogliono togliere le lampadine!», e via dicendo.

Noi che seguivamo la campagna ci siamo messi a disinnescare tutte queste bufale, una per una, sul blog comune. Ma mi sono sempre chiesta chi stesse passando informazioni false alla stampa. Non ho ancora una risposta, però posso assicurare che si trattava di discussioni molto tecniche, e nessuna redazione di quotidiano stava mandando specialisti agli eventi organizzati dai governi.

Tutte le associazioni industriali con cui parlavamo negavano di aver fomentato le polemiche.

Effetti esponenziali

Una parte della classe politica amava questi “scandali” e li usava per creare consenso; questo è ciò che si diceva all’epoca. Alcuni ambientalisti britannici mi consigliavano di non preoccuparmene troppo, perché affannarsi sarebbe stato uno spreco di energia del tutto vano. Di fatto, però, l’effetto di tutte quelle bufale era stato quello di creare panico tra chi negoziava, abbassando l’ambizione e allungando i tempi decisionali. La campagna sotto traccia contro il green stava riducendo i benefici economici delle misure di risparmio energetico per i consumatori e per le economie nazionali. Insomma, gli effetti li paghiamo cari oggi: mi chiedo quanti problemi attuali avremmo potuto prevenire, se ci fossimo mossi con più solerzia per liberare l’Ue dalla dipendenza dai combustibili fossili, incluse le importazioni di gas naturale da paesi come la Russia. 

Non pensiate che il tema di cui parlo sia marginale: la relazione del Regno Unito con l’Unione europea è stata scalfita eccome, da queste polemiche, e anche a lungo. Un indice alfabetico elenca decine di questi Euromyths: la Ue avrebbe proibito le banane dritte, i decolleté per le bariste, gli autobus a due piani, e chi più ne ha più ne metta.

A furia di falsi miti, arrivati al referendum del 2016 non esisteva più possibilità di dialogo tra chi pensava che la Ue si metta volutamente contro gli interessi dei cittadini comuni, e sia la fonte di ogni male di un paese, e chi la consideri imperfetta ma riformabile, un progetto continuamente sviluppato da chi vi è dentro: visioni inconciliabili che hanno spaccato relazioni amorose e intere famiglie, e minato il dibattito democratico creando uno spartiacque identitario. O sei di qui o sei di li, e la tua identità stessa dipende da questa decisione.

La “culture war” dell’energia

Negli Usa la chiamano “culture war”. A giudicare da quello che vedo sui social, la polarizzazione identitaria sembra andare in questa brutta direzione anche da noi. Quando un politico italiano si riferisce alla Ue come a un “super stato” che imporrebbe norme agli Italiani, si inserisce in questa scia. E se parla di energia, fomenta anche la “culture war” sul clima, partita dagli Usa decenni fa ormai.

Il sostegno della lobby del petrolio – Big Oil – alla diffusione di notizie false, pseudo-scientifiche e minimizzatrici sulla questione climatica e le relative soluzioni, che poi vanno a influenzare cittadini soprattutto (anche se non esclusivamente) a destra, è ben documentata.

Lo European Environmental Bureau, che è la federazione di gruppi ambientalisti europei, ha ora sfatato una ad una le molte affermazioni sbagliate sulla direttiva Epdb (sull’efficientamento degli edifici), ricordando che le misure mirano a ridurre il caro bolletta, e che siamo il secondo maggior importatore di gas in Europa, dopo la Germania. L’Italia si trova a un bivio. Una strada guarda al passato, a guerre culturali di retroguardia all’interno della Ue, volte a generare inutile polarizzazione dell’opinione pubblica in un momento di crisi energetica, sulla base di polemiche create a tavolino. L’altra guarda al futuro con un dibattito serio tra tutte le forze politiche sui compromessi necessari per attuare un piano industriale di sviluppo dell’economia basato sulla sostenibilità energetica , in maniera coordinata con partner europei e del Mediterraneo.

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