Accelerare la transizione green e digitale.

È quanto ci propone l’Europa con Next generation Eu, il più grande programma di investimento mai finanziato dall’Unione europea per fare fronte alla crisi del Covid-19, per riuscire attraverso questi due obiettivi a rendere le economie e le società del continente più resilienti e preparate alle sfide che ci troveremo di fronte nel XXI secolo.

Una delle poche certezze del Piano italiano è che almeno il 37 per cento delle risorse andrà al primo obiettivo e il 20 al secondo, come da target europei.

La buona notizia è che a leggere l’elenco degli interventi previsti e la tabella dei finanziamenti l’impegno è rispettato. Tutto ok dunque? Non proprio, perché anche se i progetti italiani sono in larga parte meritori, utili a recuperare ritardi negli investimenti e nelle dotazioni infrastrutturali, a mancare è la visione di come queste due chiavi possano diventare un valore aggiunto. È importante capire che green e digitale funzionano meglio, producono risultati maggiori – in termini di valore aggiunto, attrattività, posti di lavoro creati – quando sono legati assieme.

Usare i dati

In particolare nelle aree urbane, dove stiamo assistendo in tutta Europa a innovazioni senza precedenti grazie alla digitalizzazione dei dati e a come può contribuire nella gestione di servizi e infrastrutture, in particolare in quelle ambientali. Pensiamo alla rivoluzione in corso in campo energetico, con la possibilità non solo di produrre energia da rinnovabili in quantità impensabili fino a qualche anno fa ma di gestirla e condividerla tra utenze connesse alla stessa rete di distribuzione.

Tutto questo è diventato possibile perché in parallelo si sono ridotti i costi delle tecnologie ma soprattutto per le innovazioni avvenute nella digitalizzazione dei dati.

Stessa cosa sta avvenendo nella mobilità, dove la digitalizzazione dei dati permette di valorizzare al meglio le innovazioni che stanno andando avanti nella elettrificazione della mobilità, nell’articolata sharing mobility di auto, moto, biciclette e monopattini che possiamo trovare anche nelle città italiane.

Una prospettiva reale che vada in questa direzione è resa possibile mettendo a sistema quella montagna di dati provenienti dagli smartphone e dai sistemi di mobilità e consente di rendere più efficaci le politiche, di informare ed aiutare le persone a scegliere la modalità più veloce per spostarsi.

E qui si apre un tema importante, queste due chiavi consentono di aiutare i più poveri a spendere meno.

Dal primo gennaio di quest’anno qualsiasi nuovo edificio dovrà essere «near zero energy», come stabilito dalle direttive europee, ossia non avere bisogno di sistemi di riscaldamento o raffrescamento e nel caso da fonti rinnovabili.

Nessuno nel settore è spaventato perché i dati energetici delle abitazioni sono oramai gestibili con software diffusi e semmai la sfida che si apre è quella di accelerare la riqualificazione del patrimonio esistente.

Se le risorse previste dal Recovery plan italiano per il green e il digitale può andare bene, purtroppo non abbiamo alcuna garanzia che il risultato sarà all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte, perché manca un’idea di come farli diventare un valore aggiunto nelle aree urbane e non sono la priorità dei ministeri che dovrebbero spingerli.

La ragione è che siamo l’unico paese in Europa che considera le politiche delle città una questione locale, di cui si devono occupare i sindaci.

Il rischio, che non possiamo permetterci, è di perdere la straordinaria finestra di opportunità che l’Europa ci sta mettendo a disposizione.

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