L’intelligenza Artificiale (Ia) entrerà nel Piano che l’Italia presenterà a Bruxelles per ottenere i fondi di Next Generation Eu, l’iniziativa europea che in troppi ancora chiamano Recovery fund, senza capire che non è stata pensata per farci tornare alla normalità di prima della pandemia, ma per traghettarci in un mondo nuovo, dove affrontiamo senza più procrastinare le contraddizioni della nostra società: le disuguaglianze che crescono, l’innovazione che fatica a distribuirsi in tutta l’economia.

L’Ia entrerà nel Piano, come ha dichiarato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso del lungo incontro di lunedì scorso a palazzo Chigi assieme a una ventina di deputati e senatori di maggioranza e opposizione. Adesso serve “solo” capire come. Prima di tutto viene il diritto alla connessione: un diritto universale, che dovrebbe avere un rango costituzionale e che quando non è garantito, pensiamo ai genitori a lavorare da casa e agli studenti alle prese con la didattica a distanza, ti fa restare o finire rapidamente ai margini. Prima di tutto vengono i dati: quelli che già ogni giorno trasferiamo volontariamente, e per lo più inconsapevolmente, a piattaforme globali private, e che sono la base per sviluppare algoritmi che guidano molte delle nostre scelte, dai nuovi amici che ci “capitano”, ai contenuti che ci piacciono, fino ai candidati che votiamo alle elezioni. È urgente ragionare sulla proprietà, raccolta, gestione e uso dei dati; sulla privacy e su come riconciliare diritti fondamentali e possibilità di leggere la realtà per sviluppare soluzioni e servizi utili per gli individui e la collettività.

Ci sono poi quattro priorità su cui abbiamo insistito col capo del governo, per quanto l’Ia sia come l’elettricità e avrà quindi impatto su tutto ciò che ci riguarda. Innanzitutto le nuove imprese, e quindi investimenti in ricerca pubblica e privata, e sostegno alla nascita di tante start up e alla crescita delle aziende esistenti. Poi, i nuovi lavori, e quindi tutta la filiera della formazione che va dalle elementari all’università fino alla riqualificazione dei lavoratori cinquantenni, perché dipenderà solo da noi non farci sostituire dai robot. Terzo, le potenzialità per avere più salute, e quindi il contributo dell’Ia al Sistema sanitario nazionale: perché la prossimità a pazienti e malati sia più medicina territoriale ma anche la possibilità di fare visite specialistiche a distanza.

Infine, la possibilità di far crescere di più la cultura, intesa non solo come salvaguardia del nostro patrimonio storico e artistico, ma come dimensione che collega le altre, che genera ricchezza attraverso imprese culturali e creative e che mette gli artisti al centro della ripartenza dell’Italia, oltre a unire tecnologia e processi di rigenerazione urbana, tecnologia e innovazione sociale, tecnologia e turismo per reimmaginare i borghi delle aree interne.

Cultura intesa come divulgazione scientifica, per rendere popolare la scienza: e quindi critico, ma anche familiare, l’uso della tecnologia presso porzioni sempre più vaste della popolazione. C’è poi la questione trasversale del pregiudizio dell’Ia, se la addestriamo sulle scelte umane del passato, che non necessariamente rappresentano quello che vogliamo fare nel futuro. Dobbiamo insegnare alle macchine a non avere i pregiudizi di noi maschi bianchi verso le donne, le persone di colore, ogni tipo di minoranza.

L’Europa si aspetta un piano italiano ambizioso. Non una collezione di progetti, ma una visione chiara su dove e come investiremo miliardi di euro. Un’Ia al servizio delle persone, che ci aiuti a portare avanti un’agenda per lo sviluppo sostenibile verso il 2030, è uno strumento vitale per trasformare l’Italia nei prossimi anni. Governo e parlamento abilitino cittadini, imprese, e società civile ad essere protagonisti di questa trasformazione.

Garantendo anche la più epocale rivoluzione della pubblica Amministrazione, ripensando chi ci lavora e come ci si lavora, per assicurare una nuova generazione di servizi pubblici veloci, intelligenti, giusti.

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