Letti i resoconti stenografici dei lavori delle Commissioni competenti delle Camere, le dichiarazioni del ministro Roberto Cingolani e della sua vice Vannia Gava, e le schede di progetto trasmesse alla Commissione U.E. l’11 marzo scorso, al netto di ogni valutazione su metodo e governance, la prima impressione che se ne trae è che sia andato perso il contatto con la realtà.

La Relazione approvata sul Pnrr alla Camera e al Senato, in particolare, sembra essere stata scritta almeno venti anni fa: il refrain è quello noto del Pil, della crescita, delle riforme strutturali.
Il paese è ritratto come in una foto ingiallita, vecchia di almeno venti anni. Eh già, ma chi porta sulle spalle questa responsabilità se non buona parte del ceto politico che ancora oggi ci governa?

Tutto quanto finora letto pecca, nella media, di modesta ambizione e del non tenere in debito conto quanto la scienza – la stessa spesso invocata quando si parla di Covid - ricorda da tempo:

  • il riscaldamento globale ha raggiunto il livello di +1,19°C rispetto ai livelli preindustriali già nel febbraio scorso1. Di questo passo il limite di 1,5°C verrà raggiunto nel 2034 e non a fine secolo, con tutte le drammatiche conseguenze del caso;
  • con  un aumento di 3°C, tra appena trent’anni potremmo avere 250.000 morti l’anno2, 1 miliardo di profughi climatici al 2100, ulteriori guerre per l’accaparramento di risorse;
  • nel 2020, il rallentamento dell’economia mondiale dovuto alla pandemia ha causato un taglio delle emissioni di CO2 pari al 7 per cento;
  • per rispettare gli Accordi di Parigi avremmo bisogno di bloccare le attività economiche ogni due anni. L’Agenzia Internazionale dell’Energia nel frattempo avverte: «Se il rimbalzo economico atteso quest'anno si conferma e in assenza di cambiamenti importanti delle politiche delle più importanti economie del pianeta le emissioni mondiali aumenteranno ulteriormente nel 2021».   

Pur nelle differenze di accenti, il dibattito sul Pnrr sembra svilupparsi in una dimensione in cui il tempo disponibile per invertire senso di marcia sembra dipendere dalla capacità di cambiamento del sistema di produzione e consumo, e non il contrario: si riconosce all’economia e all’uomo il potere di controllare e piegare a sé le leggi della natura.

Solo parole

In questo il Pnrr di Conte del 15 gennaio e le 500 schede dell’11 marzo si somigliano molto, così come non si discostano l’uno dalle altre in quanto a mancanza di «misure concrete per la tutela dell’ambiente al fine di migliorare tutte le drammatiche situazioni descritte negli indicatori sopra riportati» (ovvero i target climatici al 2030 e al 2050)  e a mancanza di previsioni «per la tutela della biodiversità, degli ecosistemi, e per la riparazione di danni ambientali che si sono susseguiti nel tempo su tutto il territorio nazionale» (come dice la relazione approvata dalle Commissioni 5a e 14a riunite del Senato, pag. 15).

Anche se non è lecito fare pronostici su ciò che sarà il Pnrr nella sua veste definitiva né sulle modifiche/integrazioni che potrebbero intervenire a seguito del contradditorio con la Commissione U.E., resta pur sempre vero che, a dirla tutta, se il buon giorno si vede dal mattino, ciò che si profila all’orizzonte non è esattamente un buon giorno.

Assieme alle più importanti economie del Pianeta, il nostro Paese si avvia a fare ciò che Rodari mise in rima circa mezzo secolo fa a proposito di quel tale di Scandicci che buttava le castagne e mangiava i ricci: l’esatto contrario di ciò di cui abbiamo bisogno.

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