Pochi temi sfuggono all’attenzione pubblica come le cave. Eppure, sono oltre 4mila quelle attive e 14mila quelle abbandonate in ogni regione italiana, ma è come se fosse considerato un prezzo da pagare allo sviluppo dei territori. Il paradosso è che oramai siamo l’unico paese in Europa che ancora non ha capito che un altro modello non solo è possibile, ma conviene in termini di ricchezza delle imprese e posti di lavoro – si hanno il 30 per cento di occupati in più nella filiera del recupero e riciclo – innovazione nel settore edilizio.

I dati dell’ultimo rapporto presentato da Legambiente fotografano questa realtà con i suoi ritardi e le tante opportunità che si stanno aprendo, anche in Italia, con imprese all’avanguardia e buone pratiche. Il tema è molto più di attualità di quanto si potrebbe pensare, non solo perché nei prossimi anni si apriranno grandi e piccoli cantieri, come l’alta velocità finanziata dal recovery plan e nei condomini finanziati dal superbonus, ma perché ci troviamo di fronte a un esempio emblematico delle contraddizioni nel modo in cui in Italia si gestiscono i beni pubblici e si regolano le concessioni per attività così impattanti.

Tutto gratis

In Valle d’Aosta, Basilicata e Sardegna non sono previsti canoni per l’attività estrattiva. È gratis. In Lazio, Umbria, Puglia e della Provincia Autonoma di Trento non si arriva al 2 per cento di canone rispetto al prezzo di vendita di sabbia e ghiaia. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, è di 17,4 milioni di euro a fronte di 467 milioni di euro all’anno ricavati dalla vendita.  Ancora più incredibile è il rapporto per i preziosi marmi italiani che esportiamo in tutto il mondo, a fronte di una devastazione di montagne delicate come le Alpi Apuane. Se semplicemente venisse applicato il canone della Gran Bretagna, pari al 20 per cento dei prezzi di vendita, negli ultimi dieci anni si sarebbe potuti generare quasi 4 miliardi di euro di entrate per le casse pubbliche. E non è vero che la conseguenza sarebbe un aumento del prezzo delle materie prime, quanto piuttosto la spinta al recupero dei rifiuti da demolizione e ricostruzione, come è avvenuto in tutti gli altri paesi europei dove l’occupazione nel settore è cresciuta. L’attenzione al settore da parte del mondo politico è talmente poca che l’ultimo intervento normativo statale è un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927. La materia è stata trasferita alle regioni ma mancano criteri e indirizzi per la tutela e il recupero, persino un monitoraggio nazionale della situazione. In tante regioni mancano piani per gestire l’attività, un problema rilevante perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione, in un settore in cui non solo al Sud è forte il controllo da parte della criminalità organizzata. Persino la valutazione di Impatto ambientale è aggirata, perché in Italia l’obbligo vale solo per cave con superficie maggiore di 20 ettari, per cui tutti si tengono sotto la soglia.

Puntare sul riciclo

La buona notizia è che questa situazione oggi può essere cambiata, proprio la chiave del recupero e riciclo può contribuire non solo a ridurre progressivamente le cave ma a rilanciare il settore delle costruzioni. Abbiamo la possibilità di passare da un modello lineare, di grande impatto, a uno circolare dove l’obiettivo è puntare su recupero, riciclo, riqualificazione urbana e territoriale. Inoltre, anche le attività estrattive possono essere gestite correttamente. Sono diversi gli esempi in questo senso di cave attive e recuperate a vantaggio delle comunità coinvolte. In alcuni grandi cantieri di demolizione a Ferrara e Prato si è arrivati a recuperare il 99 per cento dei materiali presenti, da mandare a riciclo. Possiamo trasformare rifiuti provenienti dalla siderurgia e dall’agricoltura in materiali da usare nei sottofondi stradali e nella creazione di mattoni. Si possono creare intere filiere di materiali ad impatto zero, o rifare centinaia di km di superfici stradali, piste ciclabili, aeree aeroportuali, con materiali riciclati al 100 per cento.

I nuovi cantieri

Non esistono più scuse e i cantieri del recovery plan sono un’occasione che non possiamo sprecare, anche perché non servono risorse ma piuttosto che il ministro Cingolani smuova finalmente il Ministero di cui è responsabile. Ci sono tanti rifiuti che possono trasformarsi in materiali preziosi per le costruzioni, salvo che da anni sono in attesa dei decreti End of waste. Si potrebbero utilizzare materiali provenienti dal riciclo negli appalti, a parità di prestazioni, se solo si approvassero i Criteri ambientali minimi previsti dalle direttive europee. Anzi, per una volta da un settore produttivo potrebbero arrivare le risorse per investimenti in recupero ambientale, se solo si copiassero i canoni inglesi nella gestione delle attività estrattive. Perché non sperare in un impegno in questa direzione da un governo che, almeno in partenza, aveva fatto dell’europeismo e della transizione ecologica il proprio cavallo di battaglia?

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