“Insieme”. Ha concluso così Enrico Letta l'annuncio della sua candidatura a segretario. Insieme non per evocare un finto unanimismo, ma per ricordare che il collettivo è più forte dell’individualismo, che nessuno si salva da solo.

Vale per il paese, affaticato e indebolito dopo oltre un anno di pandemia dove le solitudini fanno sempre più male. Vale anche per il Partito democratico, impegnato in un passaggio così complesso. Complesso perché ci rendiamo conto dello iato tra il nostro dibattito e il percepito del paese. Complesso perché tante volte facciamo fatica a capirlo perfino noi: votiamo tutti insieme in Direzione, ma poi si fa come quella discussione non fosse mai esistita. 
 

La vera partita politica

Ma fuori dal nostro chiacchiericcio, lontano dagli stanchi rituali, dalle  polemiche e dai posizionamenti interni in cui spesso ci ficchiamo, c'è una tempesta. Non solo sanitaria ed economica. Là fuori ci sono centinaia di migliaia di persone in sofferenza, spesso costrette a chiudere la propria attività. Persone alle prese con i figli in dad, con l'asilo che chiude, con genitori anziani che non possono uscire di casa per non mettere a rischio la propria salute. Una precarietà devastante.

Qui sta tutta la partita politica che ha di fronte il Pd. E le dimissioni, inaspettate e laceranti, di Nicola Zingaretti, avranno avuto un senso se ci imporranno di rimettere testa, anima e cuore su questo.

Perché il tema oggi non è solo la degenerazione di uno stare insieme. Non sono solo le polemiche, il logorio strumentale, le brame di potere la sola cosa da affrontare e risolvere. Perché non sono la malattia, ma la conseguenza di luoghi da cambiare, di piramidi da rovesciare, di una cultura politica che guardi al paese anziché concentrarsi sul proprio ombelico.

Se le persone là fuori non hanno chiaro l'idea di società del nostro partito, è perché perdiamo molto più tempo a dibattere di posizionamenti che di politica. Se là fuori l'identità del Pd non è percepita, non è perché il suo segretario non la definiva, ma perché l'abbiamo poco praticata in modo chiaro, costante, appassionato. Un'idea del mondo si costruisce affrontando la contemporaneità con idee forti e chiare. Più che di alleanze e politicismi, per esempio potremmo discutere di economia circolare e di chiusura del ciclo dei rifiuti, di redistribuzione del lavoro e reddito universale, di salario minimo ed equo compenso, di gratuità dell'istruzione per chi è meno fortunato, di congedi parentali e welfare di prossimità, di digitalizzare e assumere 500mila giovani nella pubblica amministrazione.

Su questo serve una battaglia politica netta. Perché ha a che fare con l'idea che hai del mondo e le forme con cui la vuoi organizzare.

E per farlo, non c'è momento più importante e necessario di quello che stiamo vivendo.

La chiamata della storia

Sì, è proprio la pandemia in corso a richiederlo. Perché donne, giovani e soggetti fragili sono coloro che l’hanno pagata di più. Perché l'organizzazione dello stato, il modello di sviluppo e il welfare così come li conosciamo da decenni non reggono più. Perché i cambiamenti climatici impongono di ripensare tutto, le diseguaglianze crescono, le ricchezze si accentrano, il mondo del lavoro è sempre più precario e frammentato, le piccole e medie imprese faticano di fronte a un mercato sregolato. Persino il vaccino stenta a diventare bene comune accessibile a tutte e tutti.

Non sarà la destra, divisa tra un nazionalismo esasperato e un finto europeismo, ad affrontare i nodi strutturali della nostra società o a intraprendere la sfida della transizione ecologica (e della  battaglia alla conservazione), della lotta alle diseguaglianze (e della redistribuzione delle risorse), della digitalizzazione del paese o della parità di genere.

Non sono solo le dimissioni di Zingaretti a chiedere un cambio di passo al nostro partito, è la storia a imporcelo.

Occorre una visione del mondo che ribalti l'idea della sinistra delle élite e si riappropri di una sfida direi ancestrale: quella di prendere per mano i più deboli e non lasciarli da soli dinanzi alle intemperie della vita, ma anche capace di ingaggiare la sfida dell'innovazione e guidare con idee moderne il paese in un nuovo modello di sviluppo, di società, di organizzazione dello stato. Questa è la sfida per cui occorre battersi. E per questo serve, oggi più che mai, dare anima e identità al Partito democratico.

Per farlo servono leadership autorevoli. Enrico Letta indubbiamente lo è. In questo, la sua disponibilità è davvero “un atto d'amore” verso il Pd e il paese.

Ma nessuno può riuscirci da solo. Per questo, “insieme” è la parola chiave.

Perché proprio nel buio di questi giorni, ciò che non ha fatto mancare il suo orgoglio e la difesa delle ragioni di un partito che ha ancora voglia di aprirsi e fare buona politica, è stata proprio la sua comunità.

Guardare la nostra comunità

Lontano dalla brutta rappresentazione che ne davano alcuni suoi dirigenti, il Pd è molto altro. Molto altro che spesso non si vede e non viene raccontato, se non per farne cattiva retorica.

In questi due anni, il Pd è cambiato molto. Per carità, il percorso di rigenerazione è ancora lontano dall'essere compiuto, ma il racconto giornalistico non fa giustizia spesso di una comunità che per settimane ha mobilitato decine di migliaia di persone per raccogliere beni alimentari di prima necessità per le persone in difficoltà. Una comunità che apre i propri circoli ai senza tetto perché a Roma si muore di freddo (e non in senso metaforico), che attiva spazi di coworking, che aiuta gli anziani del proprio territorio a prenotarsi un vaccino o a farsi la spesa in piena pandemia.

Non è volontariato, ma un posizionamento politico, è un pezzo di identità.

Adesso non si tratta di quietare le anime del Pd, ma di costruire una visione collettiva, capace di rispondere anche al milione di persone che due anni fa hanno votato Nicola Zingaretti alle primarie e di costruire un luogo all'altezza di questo compito. Aprire, unire, cambiare.

Per questo serve un partito differente, capace di valorizzare i territori, permeabile alla società, solido e unito nelle Istituzioni, ma vivo nella società.

Mi sembra dunque un segnale importante verso la nostra comunità l'idea di Enrico Letta di discutere per 15 giorni, di coinvolgere circoli e territori, di aprirsi alla società, ma anche di dare alla nostra comunità il protagonismo che merita.

Vengo da una terra, la Toscana, in cui la sinistra non ha mai avuto la necessità di definirsi perché la sua identità era netta e percepibile come strumento di cambiamento. Ma quella parola – insieme – ho imparato a usarla come un faro nelle notti più buie da un maestro di vita che non viene dai partiti. «Sortirne da soli è avarizia, sortirne tutti insieme è la politica», diceva don Lorenzo Milani. Insieme, non a caso, è anche il titolo della campagna tesseramento del Partito democratico del 2021. Che sia di buon auspicio per tutte e tutti noi.


 

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