Tra il serio e il faceto, in un’ampia gamma di registri che va da Norberto Bobbio - “Destra e sinistra”, saggio del 1994 - a Giorgio Gaber - “Destra-sinistra”, canzone di quello stesso ’94 -, sono decenni che ci si interroga sul valore contemporaneo della distinzione tra sinistra e destra.

Due categorie inappropriate

Che i due concetti attraversino una crisi di senso è un dato oggettivo e anche fisiologico, legato sia all’emergere di grandi questioni inedite – una per tutte: il problema ambientale – impossibili da declinare secondo l’abituale discrimine sinistra/destra, sia alla fine di una lunga epoca in cui l’Europa, dove tali categorie hanno preso forma e hanno a lungo impregnato le vicende storiche, è stata il centro della realtà politica globale. Così, queste due parole suonano del tutto inappropriate per definire protagonisti del nuovo secolo estranei alle logiche e agli scenari tradizionali che hanno segnato l’affermarsi dei campi contrapposti di sinistra e destra. Il capitalismo di Stato autoritario cinese è di destra o di sinistra? E il radicalismo islamico? E i partiti Verdi a quale delle due sfere appartengono? Peraltro, va aggiunto che l’emergere di visioni politiche di largo successo che si propongono come “oltre” la sinistra e la destra, non è una novità così assoluta: il Novecento europeo è affollato, per dire, di movimenti populisti (compreso il fascismo) che si dichiaravano estranee ad entrambe.

Mario Giro ha osservato con ragione che nel tempo attuale la “faglia” sinistra/destra è meno netta che mai: dai Cinquestelle a Macron, dai gilet gialli ai vari sovranismi in campo, guardare a molta politica odierna con le vecchie lenti – destra, sinistra, socialisti, popolari, liberali… - impedisce di del tutto di capirne la sostanza.

Anche i Verdi, si diceva, sfuggono a una stretta definizione secondo la griglia sinistra/destra. Tant’è che nella loro storia ormai pluridecennale sono stati di volta in volta etichettati come l’una e come l’altra. I Verdi “cocomeri” che dentro sono rossi, rappresentati (e talvolta autorappresentati, così in Italia) come una variante della sinistra radicale. Oppure i Verdi reazionari, nemici del progresso, i Verdi che si preoccupano degli animali da salvare e se ne infischiano delle diseguaglianze sociali.

Il pensiero ecologico è oltre

La verità, per tornare al discorso di partenza, è che il pensiero ecologico è davvero “oltre” sinistra e destra. È al tempo stesso conservatore – “conservare”, si tratti degli equilibri climatici o della biodiversità, è un verbo decisivo per ogni ambientalista – e rivoluzionario, poiché propone un cambiamento radicalissimo nel modo di produrre, di consumare, di organizzare la vita collettiva. Il punto, su questo dissentiamo da Giro, non è contrapporre i nostri Verdi del no a tutto ai Verdi europei che sarebbero invece gli “ambientalisti del sì”.

Il no a tutto, anche a opere utilissime per migliorare l’ambiente dagli impianti per riciclare i rifiuti ai parchi eolici, è certo un desolante riflesso pavloviano presente in molti che si dichiarano ecologisti (non solo in Italia), ma dalla Germania alla Francia i Verdi sono cresciuti e spesso sono arrivati a governare anche grazie a dei no irriducibili. La differenza è che in Europa la politica – non solo i Verdi, ormai – si è accorta di un processo strutturale in corso da anni che sta facendo del “green” l’anima di un pezzo sempre più grande di economia, e a tale processo ha dato voce e risposte concrete.

L’economia verde sta crescendo pure in Italia, anzi in molti campi le nostre imprese sono leader nel campo: solo che da noi la politica, in parte per l’assenza di un vero partito Verde, di questo si è finora disinteressata. A parole se ne occupano un po’ i Cinquestelle, nei fatti le scelte di governo continuano a ignorare questa “nuova frontiera”.

I politici non capiscono

Esempi? Il Piano nazionale energia e clima, varato pochi mesi fa, è totalmente inadeguato nei modi e nei tempi previsti per la decarbonizzazione. Il recente decreto semplificazioni non elimina nessuno degli ostacoli burocratici che frenano la crescita delle energie pulite e l’economia circolare.

Il governo addirittura sta mettendo i bastoni tra le ruote alla modifica di una norma, superata da tempo in buona parte d’Europa, che proibisce di utilizzare tutta plastica riciclata per le bottiglie in Pet.

Di nuovo ha ragione Giro: alla vigilia di una sfida da cui dipenderà il futuro economico del nostro Paese – l’uso delle risorse del Next Generation Fund -, o la politica italiana decide di guardare verso il futuro, che significa orientare i miliardi che arriveranno anche e molto verso l’economia verde, oppure il declino italiano diventerà un destino inarrestabile. Questo vale per tutti gli attori della nostra recita politica: a tutti va fatto capire che sono proprio le ragioni dell’economia, del lavoro, del mercato, di un rinnovato benessere indispensabile per contrastare povertà e marginalità sociali, a imporre oggi la centralità politica dei temi ambientali.

In fondo per capirlo basterebbe poco: basterebbe dare un po’ meno importanza all’antica dicotomia tra sinistra e destra e darne un po’ di più a un signore vissuto quando sinistra e destra erano appena nate, che invitava a leggere la storia a partire da come cambiano le strutture economiche. Si chiamava Karl Marx.

Roberto Della Seta e Francesco Ferrante hanno guidato a lungo Legambiente. Oggi Della Seta è presidente della Fondazione Europa Ecologia, Ferrante è vicepresidente del Kyoto Club.

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