Investire su educazione e scuola come primo intervento per rimuovere disuguaglianze insopportabili e per uscire dalla crisi verso un futuro più giusto e sostenibile. La politiche educative, dunque, non come accessorio all'azione di governo ma come sua priorità, presupposto stesso allo sviluppo del paese. Per questo investire da subito per definire, a partire dal piano di utilizzo del Next Generation Eu e intrecciando in modo coerente tali risorse con le altre a disposizione, un piano strategico nazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza centrato su alcune principali piste di lavoro.

Cosa serve

Primo. Sviluppare in modo omogeneo in tutta Italia i servizi 0-6, con particolare attenzione ai primi tre anni di vita, per raggiungere la media del 33 per cento di copertura del bisogno che ci viene chiesta dall'Europa e che oggi è assai lontana dall'essere raggiunta. Con le debolezze e le assenze più dense, per paradosso, proprio nei luoghi -  periferie urbane, Mezzogiorno, aree a più forte degrado economico e  culturale - dove vi sarebbe maggior bisogno di tali presidi. Sapendo che investire su nidi e sui servizi per la prima infanzia significa non solo porre in essere un fondamentale spazio educativo per le nostre bambine e i nostri bambini ma anche realizzare uno straordinario intervento di supporto, diretto e indiretto, all'occupazione femminile.

Secondo. Non è più accettabile vivere in un paese dove in alcuni contesti, la dispersione scolastica e il fallimento formativo riguardano più del 30 per cento percento di alunne e alunni (comunque con una media nazionale del 14 per cento). O ancora, più o meno consapevolmente, accettare, dare quasi per scontato che siano i figli e le figlie dei poveri  a rimanere indietro o comunque ad avere carriere scolastiche fragili, segnate dal destino della precarietà, incapaci di spingere una mobilità sociale che oggi la scuola non riesce più a garantire. O che ancora siano, come successo nella gestione della didattica a distanza di questi mesi, le alunne e gli alunni con background migratorio, o quelli con differenti abilità o con bisogni educativi speciali a pagare il prezzo più alto della crisi.

Per tali ragioni, dunque, la seconda priorità, è quella di allargare e mettere a sistema il fondo nazionale per il contrasto alla povertà educativa, per non lasciare indietro nessuno e per recuperare un ritardo e  un divario educativo che fa pagare al paese un prezzo troppo alto, non soltanto dal punto di vista del mancato rispetto dei dettati Costituzionali, ma anche da quello economico e dello sviluppo del paese. Partendo dall'individuare di 100 aree a forte emergenza educativa in cui innestare programmi e strategie integrate che partano dalla scuola, dai bisogni urgenti di migliaia di bambine e bambini in difficoltà per costruire processi di sviluppo educativo locale. Attivando  e riconoscendo, dentro ai patti educativi di comunità,  come attori di governo locale tutti gli attori pubblici e privati che spesso, proprio in quelle fragilità, esprimono oggi forme eccellenti di resilienza locale  e buona politica.

Infine, e coerentemente a  queste due prime priorità, occorre aumentare in modo forte gli investimenti sull'educazione, sulla scuola e sull'insieme del sistema formativo del paese. Iniziando a dedicare almeno il 15 per cento del fondo Next Generation Eu (dal nome per altro fortemente evocativo del tema che stiamo approfondendo) a tale ambito. Invertendo una rotta inspiegabile e inaccettabile che ha visto l'Italia, unico paese europeo a disinvestire sul sistema educativo dal 2008 a oggi (con conseguenze gravi che sono davanti agi occhi di tutte e tutti. Un esempio? Il tasso di tasso di occupazione giovanile che in Italia si attesta attorno al 56 per cento, al Sud al solo 33 per cento, contro l'86 per cento del resto di Europa).

Si sta già facendo

Queste le tre direzioni di senso e prospettiva che sono uscite dalla prima giornata del percorso OpenForumDD che era dedicato alla scuola e all'educazione. Una giornata che ha visto passare e confrontarsi, come sta accadendo ogni giorno sulle altre priorità  mese al centro del confronto, le voci, i volti, le storie e le esperienze di chi ha testa, piedi e pancia dentro alla realtà. Insomma tutte quelle persone che oggi sanno molto perché fanno. Che propongono sulla base «del si può fare perché già si sta facendo». Sono persone e soggetti, pubblici e privati, del civismo attivo e dell'impresa che stanno costruendo nuove mappe e direzioni concrete per prevenire disuguaglianze e ingiustizie ma che spesso non trovano nella politica l'ascolto e l'attenzione che sarebbe necessario. Perché troppo spesso quella stessa politica è impegnata a rincorrere le rappresentazioni, a stare sulla superficie, a proporre dibattiti da retroscena, non trovando e competenze, e forse il coraggio, per farsi carico della complessità.

Una politica che forse anche per questo continua a non capire quello che tutte le ricerche e i dati ci dicono  con chiarezza e cioè che oggi non investire davvero, sia in termini di pensiero, sia in termini di risorse, per recuperare il divario enorme e ingiusto che caratterizza il Paese nell'ambito della scuola e dell'educazione, non solo sarebbe imperdonabile, ma condannerebbe il Paese ad un futuro incerto, disuguale e più insicuro. Non solo per ultimi, fragili e poveri ma  per tutte e tutti, anche per quelli e quelle che oggi si sentono garantiti e inclusi e per questo, in modo insensato, continuano a guardare da un'altra parte.

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