Blanchard, Leandro e Zettelmeyer hanno pubblicato su queste pagine una proposta interessante per modificare le regole fiscali europee e renderle più adatte alle nuove condizioni macroeconomiche.

Semplificando terribilmente la loro analisi: i tassi di interesse globali e quelli sul debito pubblico sono a livelli molto bassi, il che consente ai paesi di finanziarsi più facilmente sui mercati finanziari.

Le condizioni possono cambiare in fretta però e ogni paese deve analizzare di anno in anno quale sia la strategia di spesa ottimale. Il problema, secondo gli economisti di Washington, è che questo esercizio è quasi impossibile se i governi dell’Eurozona sono costretti a seguire le regole numeriche del Patto di Stabilità e crescita.

Gli autori della proposta suggeriscono di adottare principi invece che regole fiscali rigide, così da poter adattare ogni legge finanziaria ai rischi futuri e alle specifiche esigenze di ogni paese.

L’idea – se la moneta unica fosse il sistema della viabilità e i diversi paesi le macchine in circolazione- è che invece di avere segnaletiche stradali del tipo “non superare i 60 chilometri all’ora” sarebbe meglio avere un grande cartello con scritto “guida prudentemente”.

Standard invece che regole insomma.

Standards sì, ma chi decide?

Per quanto sia condivisibile la critica al modello degli "zero virgola” e delle letterine da Bruxelles, c’è da chiedersi quanto la metafora del traffico con macchine, velocità e vigili sia davvero la più appropriata.

Anzitutto, le decisioni dei paesi dell’Eurozona non sono proprio come quelle di autisti stressati all’ora di punta, quanto invece espressione di una volontà popolare, alla cui base c’è il valore fondamentale dell’eguaglianza politica dei cittadini.

Questo tipo di uguaglianza e le istituzioni che la tutelano sono essenziali dal momento che abbiamo tutti necessariamente opinioni diverse, ma generalmente ragionevoli, su come vada gestita la cosa pubblica.

C’è chi vuole più stato e chi meno, chi vuole più spesa e chi meno tasse. Siccome nessuna di queste visioni è sicuramente sbagliata, quello che si prova a fare in democrazia è di dare ad ogni gruppo sociale o minoranza la possibilità di influenzare il processo decisionale.

La decisione di un governo è (o se non altro dovrebbe essere) quindi il risultato di procedure che riconoscono che ognuno ha diritto che la propria visione del mondo venga presa in considerazione e, nel caso della spesa pubblica, utilizzata per giustificare l’impiego di risorse in questo o in un altro settore.

Passando al secondo elemento della metafora, ovvero la velocità, bisogna capire quale sia un debito pubblico o un deficit "eccessivo”? Eccessivo per chi?

Sicuramente nessun paese vuole fare default a modi Argentina e tanto meno far pagare ad altri il conto.

Allo stesso tempo ogni paese ha idee e interessi differenti in materia di politica fiscale. Idee e interessi, ma soprattutto visioni dei rapporti economici tra i settori produttivi e modelli di crescita che spesso non vanno d’accordo. Anzi, si ostacolano.

Un paese può vedere il deficit di un vicino come una scelta azzardata e quell’altro, di contro, pensare che un surplus sia qualcosa di incomprensibile e forse anche dannoso per l’Eurozona.

Sembra quindi che, come nel caso dei cittadini, anche i governi nazionali seduti (ormai solo virtualmente) a Bruxelles si trovano di fronte al problema di prendere decisioni comuni avendo ognuno visioni della società e modi di valutare informazioni difficilmente conciliabili.

Che fare quindi?  

Per Blanchard e colleghi –e qui arriviamo alla figura del vigile- bisogna far decidere chi ha ragione a un giudice indipendente e terzo alle parti.

Nello specifico, suggeriscono che o la Corte di Giustizia Europea o l’European Fiscal Board abbiano facoltà di respingere una la legge finanziaria di un paese giudicata contraria agli standard fiscali. Indipendenza in questo senso significa essere distaccati ed esterni al caso specifico in modo da interpretare in maniera apolitica le decisioni dei governi.

Anche qui sorgono dei dubbi. È difficile pensare che il giudizio "indipendente” di giudici o economisti sia davvero quello che i cittadini desiderano. Gli stessi economisti in fin dei conti saranno costretti a esprimere giudizi normativi. Ad usare una loro visione di cosa è giusto (o di quanta spesa pubblica sia troppa).

Il problema però è che non saranno costretti a confrontarsi, come si fa in democrazia, con le opinioni altrui e a raggiungere compromessi che rispecchiano e rispettano il giudizio di tutti.

È interessante notare che le regole astruse di Bruxelles nascono proprio come tentativo di limitare al minimo la discrezionalità di istituzioni poco rappresentative come la Commissione Europea.

Per quanto disfunzionali, quelle regole sono state accolte da tutti i parlamenti nazionali e quindi, in un certo senso, anche dai cittadini. Blanchard e coautori propongono invece di lasciare tutto in mano a istituzioni esterne che mai dovranno render conto agli elettori.

Perché, invece di continuare ad evitare che la discussione diventi politica, non proviamo rendere il dibattito veramente democratico? Abbandoniamo pure le regole del patto di Stabilità e Crescita e il loro vademecum di 119 pagine e proviamo ad affidarci agli standard fiscali.

Non lasciamo però ai giudici l’ultima parola su materie in cui la dialettica democratica è necessaria per arrivare ad una visione del bene comune.

Ci sono idee ragionevoli e diverse su quale sia un livello di spesa pubblica utile ed accettabile e, come attestato dalla nuova proposta di Blanchard et al, queste idee cambiano con il tempo e con la percezione di quali sono i rischi comuni ai paesi dell’Eurozona.

Lasciamo che diverse visioni politiche su come gestire l’unione monetaria si scontrino periodicamente in un’assemblea che rappresenta i cittadini europei. Le regole da definire non sono tanto quelle sul debito, ma quelle di un processo deliberativo che sappia usare e interpretare informazioni di finanza pubblica complesse e formulare posizioni comuni.

Un organo simile lo abbiamo già anche se in questi casi è relegato a semplice spettatore. È ora di dare al parlamento europeo un ruolo maggiore nelle politiche di bilancio dell’Eurozona.

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