Dopo la bufala sul Natale cancellato e la fake news dell’ambasciatore dell’Unione europea che si prende gioco di Maria travestito da Madonna con la barba, l’Ue si trova ad affrontare un’altra polemica creata a tavolino. Questa volta su un tema sul quale vale la pena di soffermarsi perché riguarda la casa, il “bene” per eccellenza per tutti gli italiani.

Pomo del contendere è una interpretazione sparata in prima pagina da “La Verità” del 10 dicembre, ma presa per buona anche dal “Giornale” e dal “Messaggero” (il Corriere, titolo a parte, ne tratta in modo più neutro), secondo la quale in una bozza non definitiva della direttiva sulla performance energetica degli edifici, ci sarebbe il “divieto” di vendere o affittare un immobile, che non raggiungesse almeno l’equivalente della classe F in termini di efficientamento energetico, entro termini che vanno dal 2027 al 2033 a seconda del tipo di edificio.

Le polemiche

Immediatamente sono state rivolte accuse terribili ai burocrati di Bruxelles chiusi nelle loro grigie torri incapaci di vedere la rovina sicura verso cui spingerebbero milioni di persone. Si è parlato di attacco alla proprietà privata, di dittatura tecnocratica e fondamentalismo verde.

Non voglio entrare ora nel dettaglio della proposta, che sarà presentata nella sua versione definitiva il 14 dicembre dopo un lungo processo di consultazione pubblica. Ma vorrei sottolineare che l’aspetto più preoccupante di questa polemica, prontamente amplificata dalle reazioni indignate di vari politici per lo più di destra, è che lo scandalo non sia provocato dal fatto che ben il 75 per cento degli edifici italiani consumino troppa energia; che molte persone non possano scaldarsi in modo adeguato o che le bollette siano destinate ad aumentare a causa della nostra dipendenza dal gas e dalla scarsa qualità dell’isolamento di molti edifici.

No, lo scandalo è determinato dal fatto che si vuole realizzare – e permettere agli stati e all’Ue di finanziare – un vasto piano di ristrutturazione e miglioramento del parco edilizio pubblico e privato più malconcio, agendo in modo rapido, ma graduale e con le dovute eccezioni, al fine che entro una quindicina di anni non ci siano più o ci siano molti meno edifici colabrodo in Europa, a vantaggio dei proprietari e inquilini e non contro di loro.

L’obiettivo

Michele Nucci/LaPresse

Il punto è che bisogna darsi gli strumenti affinché quegli immobili non ci siano più. Non perché lo vuole una crudele tecnocrazia: ma perché gli edifici rappresentano circa il 40 per cento del nostro consumo energetico e sono tra le cause più importanti del degrado urbano e dell’inquinamento – che uccide prematuramente circa 400mila europei all’anno.

Se vogliamo battere il cambiamento climatico bisogna tagliare del 60 per cento i nostri consumi e allo stesso tempo assicurare qualità e comfort abitativo. Inoltre, c’è da considerare che il settore delle ristrutturazioni rappresenta un enorme bacino di nuova occupazione e non solo nell’edilizia in senso stretto.

I vantaggi

Mi interessa ribaltare la logica del dibattito appena iniziato e sottolineare alcuni vantaggi di una normativa europea ambiziosa e ben applicata a livello nazionale in materie di performance energetica degli edifici, anche perché non ci sarà una seconda occasione.

Se, in presenza delle risorse del Pnrr, degli altri ingenti fondi comunitari, del superbonus del 110 per cento e della disponibilità di investimenti privati non riusciamo a dare una svolta sostenibile al nostro patrimonio edilizio non riusciremo ad acchiappare la trasformazione verde che tutti dicono di volere.

Tanto per fare un esempio, gran parte dei tre miliardi stanziati dal governo per aiutare le famiglie e le imprese a pagare le bollette elettriche sono spese forse inevitabili, ma sono state rese necessarie anche dal ritardo delle ristrutturazioni e dell’istallazione delle rinnovabili: uno spreco di risorse se viste alla luce dell’urgenza della transizione energetica.

Oggi è possibile dimostrare, numeri alla mano, che dare priorità alle ristrutturazioni conviene allo stato e agli investitori, anche perché in Italia non siamo all’anno zero.

In un rapporto uscito ieri per la Camera dei deputati sull’impatto delle misure di incentivazione del recupero e del patrimonio edilizio, si dice tra l’altro che la stima degli investimenti attivati dal 2011 a oggi abbiano generato una media annua di occupati diretti  e nell’indotto di 421.770 unità di fronte a una perdita di 600.000 unità dal 2008 e che c’è stata una crescita rilevante dell’emersione del nero. Ridisegnare le nostre città può portare anche a un risparmio energetico complessivo di 0,20 milioni di ton di petrolio.

L’aumento del valore edilizio

Michele Nucci/LaPresse

Inoltre, in un recente studio di Cresme per Symbola, si spiega come le case ristrutturate immesse sul mercato abbiano un valore medio del 29 per cento maggiore rispetto a quelle non ristrutturate ed Cambridge Economics dimostra come raddoppiare il tasso annuale di ristrutturazioni (in Italia oggi meno dell’1 per cento) comporterebbe un risparmio medio annuale di 400 euro a famiglia.

Infine, il contributo alla ripresa post-Covid del superbonus edilizio, nonostante i suoi difetti, ha rappresentato nel 2021 ben lo 0,7 per cento del Pil, con la creazione di 153.000 posti di lavoro e più di 6000 imprese. Come riporta House Verde di Innovatec, di fronte al 73 per cento delle unità immobiliari interessate che partivano da classi di efficienza energetica  E o F, l’85 per cento dei casi la classe energetica di arrivo era superiore o pari alla classe A, segno che il meccanismo funziona. E questa misura è indicata a livello internazionale come un esempio da seguire.

In conclusione, le nostre case sono davvero un patrimonio inestimabile per tutti noi. Renderle più sostenibili ed efficienti è l’unica strada per aumentarne il valore e la qualità; e per dare un contributo indispensabile alla creazione di nuova occupazione e alla lotta ai cambiamenti climatici.

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