“La casa di tutti”: con questo slogan, mutuato da uno dei partecipanti, si è conclusa la giornata di Open Forum DD dedicata alla casa.

Non si tratta però solo di un auspicio: “la casa di tutti” indica, infatti, sia una priorità di intervento che una modalità di lavoro. Oggetto e metodo insieme che devono procedere di pari passo se si vuole imprimere una sterzata netta e uscire dalle secche in cui il nostro paese si trova da anni su questo tema.

Un paese, il nostro, intriso di paradossi: con “abitazioni senza abitanti e abitanti senza casa”, in cui cioè lo stock abitativo è enorme, ma nonostante questo, mancano le case e infatti sono 650mila le richieste di case popolari in lista di attesa e 700mila gli alloggi pubblici non disponibili perché inagibili o già occupati. 

Un paese in cui solo il 4 per cento delle persone ha accesso a un alloggio con affitto calmierato; in cui il tasso di deprivazione abitativa è doppio rispetto al resto d’Europa (11 per cento vs 5 per cento); dove deteniamo il primato in Europa per il numero di famiglie che vivono in condizione di sovraffollamento (24 per cento vs 16 per cento dei paesi Ocse); in cui gli sfratti eseguiti in dieci anni (dal 2006 al 2016) sono cresciuti del 57 per cento e quelli per morosità incolpevole sono passati dal 75 per cento all’89 per cento; in cui il 50 per cento di coloro che vivono in strutture di edilizia residenziale pubblica ha più di 65 anni e si assiste a un fenomeno di iper-permanenza nelle abitazioni assegnate, in genere dai 10 anni in su (il 20 per cento vi risiede da più di 20 anni e il 17 per cento da più di 30 anni). 

Un paese con misure di riqualificazione energetica tra le più generose al mondo (si pensi al superbonus del 110 per cento in discussione in questi giorni in Parlamento) ma che, per come sono disegnate, finiscono per non migliorare la condizione delle famiglie e dei nuclei in povertà; ma siamo anche quello in cui più del 10 per cento dello stock abitativo dei centri storici (soprattutto in città come Roma o Venezia) è in affitto su piattaforme locative che generano benefici di cui si appropria in maniera sproporzionata un numero ridotto di utilizzatori; in cui, infine, il disagio abitativo viene affrontato facendo prevalere obiettivi di controllo piuttosto che di integrazione – si pensi al tema attualissimo degli sgomberi.

La casa è un terreno di incontro, scontro e mediazione tra le persone, le politiche pubbliche nazionali e locali (edilizia, urbanistica, ambiente) e il contesto, ovvero gli specifici territori in cui le persone vivono, le case sono ubicate e le politiche vengono applicate. Un intreccio di livelli che richiede in primis consapevolezza dei cambiamenti sociali ed economici in atto: l’”inverno demografico” a cui andiamo incontro genererà necessariamente una transizione abitativa tra anziani e giovani da gestire e governare e da cui deriva, sin d’ora, la profonda differenza che si riscontra tra i profili di coloro che abitano tuttora nelle abitazioni di edilizia residenziale pubblica – e che, pur molto eterogenei tra loro, si caratterizzano per una netta prevalenza di utenza anziana – e i profili di bisogno di coloro che, invece, popolano le liste di attesa.

Queste sono composte da famiglie numerose o nuclei monoparentali, in genere giovani, o nuclei ricomposti portatori di bisogni sociali ampi e articolati che vanno dalla casa al welfare alla salute al lavoro.

Ma per affrontare il tema della casa occorre anche una certa dose di realismo: non vi sono a tutt’oggi dati disponibili per mappare il patrimonio edilizio con un buon livello di granularità territoriale e, d’altra parte, non è più rinviabile una riforma del catasto, condizione per avviare qualunque intervento fiscale che riguardi la tassazione della casa.

Gli obiettivi da raggiungere 

Sono stati messi a fuoco con molta chiarezza gli obiettivi da raggiungere. Primo, rimettere al centro le persone e le loro esigenze e quindi costruire risposte differenziate a partire dai loro bisogni (non più solo “canoni agevolati” ma piuttosto “canoni sostenibili” ovvero modulati in base alle condizioni economiche di ciascun nucleo).

Secondo, aiutare le parti fragili della popolazione evitando che la casa si trasformi in una trappola di povertà e favorendo invece percorsi di uscita dalle difficoltà economiche e di miglioramento delle condizioni di vita.

Poi agire per superare l’emergenza casa, ma con un approccio integrato che connette stabilmente le politiche per la casa a quelle per il welfare e il lavoro, come emerge dalle esperienze di interventi locali in cui è indissolubile l’intreccio casa-welfare-lavoro, soprattutto nei territori economicamente e socialmente più deprivati e come suggerito anche da alcune sperimentazioni locali realizzate da Aziende casa. Queste, hanno favorito l’attivazione di servizi di supporto sociale per gli abitanti delle strutture in edilizia residenziale pubblica, la mediazione dei conflitti e l’accompagnamento all’abitare.

Infine, sviluppare una cultura della riappropriazione degli spazi da parte degli abitanti, non limitandosi a politiche edificio-centriche, ma dando centralità ai percorsi e ai processi di progettazione, realizzazione e gestione dei servizi nei quartieri.

La direzione già individuata dal Forum DD per il Piano di Ripresa e Resilienza e che consiste nella costruzione di una politica pubblica per la casa con un respiro di medio-lungo periodo, si è arricchita, grazie al confronto avuto, di ulteriori attenzioni: mirare al recupero, rinnovo e valorizzazione del patrimonio residenziale pubblico e prevedere al contempo forme di “blending”, ovvero una offerta intermedia di edilizia sociale tra libero mercato e locazioni a canone agevolato e che incentivi l’utilizzo del patrimonio privato contro il vuoto e la rendita passiva; agire anche sul fronte urbanistico, attraverso un sistema di agevolazioni che riduca gli oneri di urbanizzazione legati all’edilizia residenziale pubblica rendendola uno standard urbanistico; una concezione di alloggio sociale come “servizio di interesse economico generale” che non può essere detenuto in via esclusiva ma il cui titolo d’uso può essere revocato o sospeso in qualunque momento e ceduto a chi ne ha maggiormente bisogno; un’attenzione a investimenti tecnologici in edilizia a basso impatto ambientale e che favoriscano la modularizzazione degli alloggi e la loro adattabilità alle esigenze dei nuclei che di volta in volta li abitano.

Non possiamo attendere oltre. Se la casa oltre ad essere “un segnalatore straordinario di diseguaglianze è anche un campo di intervento politico delicato” (Filandri, Olagnero, Semi 2020) occorre iniziare a seminare senza indugio da subito per poter raccogliere al più presto i frutti che vogliamo e che servono.

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