L’universo carcerario è stato colpito in modo severo dall’emergenza sanitaria, e non solo per quel che riguarda la tutela della salute di chi è sottoposto a restrizioni della libertà. A essersi impoverita è la concreta condizione di vita delle detenute e dei detenuti. Alla strutturale carenza di spazi adeguati – che rende impossibile l’osservanza delle necessarie misure di distanziamento – si sono infatti sommate ulteriori criticità: penso alla restrizione del regime delle visite, ma anche alla sospensione di tutte le attività di supporto ai detenuti, dalla formazione, al sostegno psicologico, alle forme consentite di lavoro dentro e fuori il carcere.

Infrastrutture “immateriali” necessarie e fondamentali a garantire l’umanità della pena e il reinserimento sociale del reo: obiettivi, è utile ricordarlo visto che troppo poco se ne parla, imposti dall’articolo 27 della Costituzione.

Per questo, mentre si avvia la campagna vaccinale, non è accettabile nessuna sottovalutazione frutto di una superficiale ed errata equiparazione tra detenuti e cittadini liberi. Il Comitato nazionale per la Bioetica, nel parere dello scorso 28 maggio, definisce infatti quella delle carceri come «situazione particolarmente critica», anche perché «critiche sono le condizioni di partenza» e inserisce i detenuti tra i «gruppi più vulnerabili» al contagio, insieme agli anziani confinati nelle Rsa.

Anche Liliana Segre e Mauro Palma, nel loro appello di qualche giorno fa, hanno giustamente sottolineato che «la protezione deve essere più rapida laddove la vulnerabilità è maggiore» e che questo principio vale anche e soprattutto per le carceri. Sono d’accordo con questa posizione, e ritengo che la vaccinazione delle detenute, dei detenuti, degli operatori carcerari, degli agenti di polizia penitenziaria e di tutti coloro che nelle carceri entrano per motivi di lavoro, di difesa, di affetto, debba rientrare nella scala delle priorità.

Unisco dunque la mia voce a quella della collega Segre e di Mauro Palma – ma anche a quella di chi, come i Radicali, sta invocando attenzione su questo tema con lo sciopero della fame - e mi rivolgo al ministro della Salute. Non dimentichiamo le carceri. Non è possibile, infatti, pensare che possa essere l’isolamento fisico dei detenuti a contenere il rischio di contagi: non solo perché in carcere non può essere garantito il distanziamento, a causa del sovraffollamento, ma anche perché un rafforzamento delle condizioni di isolamento ha effetti collaterali pesanti sulla concreta condizione di vita – e sulla tenuta psicologica – dei detenuti. E anche perché gli enormi problemi in materia di tutela della salute in carcere rendono davvero drammatica la prospettiva di focolai nella popolazione carceraria.

Riprendere la vita

Ma il punto non è soltanto questo. Portare il vaccino in carcere consentirebbe di riprendere il corso “normale” della vita carceraria, con un impatto fondamentale sulla tutela della dignità delle detenute e dei detenuti: si potrebbe tornare verso un fisiologico regime di visite, e soprattutto potrebbero riprendere tutte quelle attività che rendono la vita in carcere non solo più sopportabile, ma anche coerente con il dettato costituzionale.

Vi è infine una questione politica nel senso più alto, quello dei principi che devono guidare la nostra azione: l’umanità di uno stato si misura sul modo in cui vengono trattate le persone affidate alla custodia delle istituzioni. Troppe volte abbiamo sentito parlare dei detenuti come di non-persone, destinate a «marcire» in galera: marcire, come l’immondizia, come scarti o rifiuti. Troppe volte abbiamo rinviato riforme essenziali per ripristinare, nel nostro paese, una solida cultura delle garanzie: dalla presunzione di innocenza - messa a rischio troppe volte dalla carcerazione preventiva - alla ragionevole durata dei processi, o ancora alla piena attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario voluta dall’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, ivi compresa l’approvazione del disegno di legge sulla tutela dell’affettività in carcere, di cui sono relatrice.

L’agenda della maggioranza e del Governo in materia di giustizia e carceri resta aperta e largamente inattuata: è necessaria una spinta ulteriore e forte, anche in relazione all’impiego dei fondi del piano Next generation Ue, che dovranno riguardare anche questo ambito. Sono in gioco non soltanto la competitività, ma anche lo stesso profilo civile del nostro paese.

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