Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


La Commissione parlamentare antimafia ha voluto ascoltare anche il racconto di due collaboratori di giustizia, uno siciliano e l’altro calabrese, per approfondire il tema, a cui avevano accennato nelle loro dichiarazioni in sede giudiziaria ma non sempre di diretto interesse della magistratura, delle “fragilità” del sistema massonico che consentono alla mafia di infiltrarsi.

Francesco Campanella, originario di Villabate, in provincia di Palermo, sin da giovane si era dedicato alla politica, alla massoneria, aderendo alla loggia palermitana del Goi “Triquetra”, ma anche alla mafia, ponendosi al servizio del noto capomafia Nicola Mandalà il quale, per un certo periodo, curò la latitanza di Bernardo Provenzano.

Campanella, dunque, ha raccontato alla Commissione, dall’ottica di chi si collocava alla base della scala gerarchica mafiosa e massonica, dell’incrocio tra le due diverse esperienze, quella mafiosa, presa sul serio, e quella massonica, presa quasi per gioco.

La sua doppia appartenenza era nota ad entrambe le parti, al capomafia e ai vertici della loggia (rappresentati da persone con cui intercorrevano rapporti di amicizia). La contemporanea adesione, quasi contestuale temporalmente (fine anni ’90), alle due diverse associazioni, non era osteggiata né dall’una né dell’altra parte. Mandalà, infatti, aveva ritenuto che potesse essere “una cosa interessante e che .. sarebbe potuta tornare utile in qualche maniera” .

Ben presente era, infatti, l’utilità che avrebbe potuto conseguire Cosa nostra dall’affiliazione di un suo uomo alla massoneria, in ragione dei rapporti, della conoscenza e delle frequentazioni che, in quel consesso, si rendono possibili (“c’erano persone importanti che determinavano gestione di potere come pubblici funzionari, avvocati, notai, magistrati (..) la massoneria aveva (..) importanza nella città di Palermo in termini di potere economico, politico, decisionale, quindi aveva senso che io stessi anche all’interno di questa organizzazione).

Utilità, in effetti, giunte all’occorrenza. Attraverso i fratelli a lui più vicini, infatti, aveva acquisto informazioni utili dai Monopoli di Stato per la gestione delle sale Bingo (facenti capo all’associazione mafiosa) nel momento più delicato in cui era intervenuto l’arresto di Mandalà, e si temeva che tali esercizi potessero essere sequestrati.

I fratelli, a loro volta, lungi dal manifestare alcun disappunto sulla mafiosità di Campanella, aderirono, anzi, ad un suo progetto, costituendo una società per la gestione dei finanziamenti pubblici regionali, potendo il giovane di Villabate garantire la giusta copertura.

A sua volta, lo stesso Campanella, sempre grazie ai fratelli massoni, venne in contatto con un avvocato che gli ritornò utile nei propri affari. Pur trattandosi di un fratello che, come egli stesso dichiara, ha fatto poca carriera nella massoneria, Campanella è, coerentemente, risultato a conoscenza di quanto un massone di quel livello può sapere, a parte qualche confidenza, come si dirà, ottenuta dal Mandalà e dai vertici della “Triquetra”.

Le sue dichiarazioni confermano, innanzitutto che l’appartenenza alla massoneria crea un vincolo esclusivo e permanente, che, come avviene in Cosa nostra, si dissolve solo con la morte.

La riservatezza delle logge

Egli stesso, infatti, riteneva di essere ancora iscritto (in realtà, risulta messo in sonno nel 2003 e depennato nel 2005 proprio a causa delle sue traversie giudiziarie).

Confermano, altresì, l’esistenza di prassi di “riservatezza” (come i segnali convenzionali per l’accesso alla sede della loggia, la mancanza di indicazioni su citofono); un “dovere di segretezza sia sull’affiliazione che su tutto quello che si discuteva all’interno della loggia”; il fatto che “non c’è comunicazione tra livelli bassi e quelli successivi” e, quindi, non c’è conoscenza di quanto avviene nei gradi superiori.

Confermano, soprattutto, l’esistenza di vere tecniche di segretezza, tramite l’assonnamento utilizzato, secondo le sue conoscenze, per due noti politici siciliani poi coinvolti in fatti di mafia: “Fratelli in sonno quei fratelli che a un certo punto rimangono fratelli affiliati e vengono messi in sonno proprio per motivazioni che possono essere la visibilità politica. (..) C’è un piè di lista della loggia, un registro dei soggetti affiliati, dove però non vengono scritti né i fratelli coperti, semmai ce ne fossero stati, né quelli in sonno. ( ..) N el momento in cui hanno cominciato a ricoprire cariche politiche si sono messi in sonno e hanno chiesto riservatezza, per cui sono stati cancellati dall’elenco pur continuando a farne parte. Credo che pagassero costantemente la quota annuale di affiliazione. ( Ma) è a disposizione della loggia, rimane fratello.” Ciò però è conosciuto solo dal “livello di comando della loggia” che fece a Campanella tali confidenze.

A tale ultimo riguardo, deve aggiungersi che dai controlli effettuati nel materiale sequestrato dalla Commissione, si è verificato che, in effetti, del nome di uno dei due non vi è traccia (risultano tuttavia iscritti taluni suoi discendenti), mentre del secondo ne è rimasta l’annotazione nella lista. Singolare, al riguardo, appare il fatto che, per quest’ultimo, nel corso delle indagini che ne avevano poi determinato l’arresto, erano stati rinvenuti, durante una perquisizione, segni evidenti della sua appartenenza alla massoneria che, dunque, a differenza dell’altro politico, era divenuta nota.

Attraverso le confidenze di Mandalà aveva invece appreso “che esisteva un terzo livello di soggetti in relazione direttamente con Bernardo Provenzano, all’epoca, che consentiva alla mafia di avere benefici a livello di informazione da forze dell’ordine, magistrati, servizi segreti, ecc.(..) Informazioni di prim’ordine. (..) a un terzo livello dove c’era di mezzo la massoneria”.

Francesco Campanella, pur dichiarando che non ebbe “il tempo di capire come funzionavano, per dirla con tutta franchezza”, ha riferito di uno specifico episodio di “fughe di notizie” che poté constatare personalmente: “in quel momento specifico in cui Mandalà era nelle grazie di Provenzano e gestiva la latitanza, (..) Provenzano comunica a Mandalà, esattamente la settimana prima che sarà arrestato, che si deve fare arrestare, che lui cambierà covo, quindi di non parlare, di mettere tutto a posto. Mandalà lo comunica a me: “ mi arresteranno, fai riferimento a mio padre” . Tutta questa serie di informazioni arrivavano”.

Un gioco a fare il massone (così Campanella ha definito la sua partecipazione alla “Triquetra”) ma che, tuttavia, corrispondeva all’interesse dello stesso collaboratore di giustizia, della sua famiglia mafiosa e della massoneria.

Va ricordato che è stato sentito, altresì, Cosimo Virgiglio, collaboratore calabrese, già più volte ascoltato dai magistrati di Reggio Calabria ai quali aveva reso un ampio resoconto sui meccanismi propriamente massonici. Davanti alla Commissione ha sostanzialmente confermato le sue ampie dichiarazioni, peraltro riportate in diversi giudiziarie.

Tra queste si ricorda, come nota di colore, che dopo il suo arresto, l’obbedienza lo fece raggiungere in carcere da un avvocato incaricato di dirgli di tacere il nome dei fratelli. Un segreto dunque ancor più valido anche per chi sta dietro le sbarre di un carcere. Anche lui confermava, come Campanella, che il vincolo massonico è perpetuo: si estingue solo con la morte.

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