Crosetto passa all’incasso, 250mila euro dal socio Mangione

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha avuto per anni come soci i fratelli, Gaetano e Giovanni Mangione. Questi ultimi, da sempre attivi nel settore dell’ospitality, con la gestione di alberghi e b&b a Roma, in informative e carte giudiziarie sono stati accostati a nomi di peso della criminalità romana come Massimo Carminati. Accostamenti che sono stati sempre respinti dagli imprenditori: il boss Carminati era solo un cliente del ristorante, hanno ribadito. In un caso, per un’operazione di riciclaggio internazionale, erano finiti indagati prima di essere totalmente prosciolti dal gup di Roma. Diverso esito ha avuto un altro procedimento giudiziario che ruotava attorno a migliaia di euro sottratti al fisco, in particolare alle casse del comune. Domani può rivelare che nel 2019, il socio storico di Crosetto ha patteggiato un anno e sei mesi per peculato. Reato che si configura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio sottrae soldi della collettività. In particolare il denaro che viene versato dai turisti agli alberghi e che le strutture ricettive dovrebbero girare al Comune. Una vicenda che, ricorda l’avvocato dei Mangione, Gabriele Valentini, si è chiusa positivamente con la revoca della sentenza perché il fatto non costituisce reato. In pratica il giudice ha accolto l’istanza d’incidente di esecuzione revocando la sentenza perché “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, grazie a una legge voluta dal secondo governo Conte, e che aveva premiato anche il suocero dell’allora primo ministro, l’imprenditore Cesare Paladino. La norma in particolare prevede nei casi di mancato versamento della tassa di soggiorno la previsione di una semplice sanzione amministrativa, una modifica normativa che era stata chiesta dalle associazioni di categoria. Mangione era finito indagato per fatti commessi dal gennaio 2014 al giugno 2017. La cifra contestata era di 170 mila euro, poi interamente versata da Mangione. Neanche la bufera giudiziaria ha spinto Crosetto ad allontanarsi dai vecchi sodali in affari, in fondo era rimasto nelle tre sigle societarie anche dopo il giuramento da ministro della Difesa. Qualcosa è cambiato negli ultimi mesi. Domani ha scoperto che, nell’aprile scorso, il fondatore di Fratelli d’Italia ha venduto le sue quote proprio a Gaetano Mangione, il socio protagonista del patteggiamento poi revocato. Ha venduto a un ottimo prezzo incassando oltre 250 mila euro. Un affare. Ecco i Mangione, soci di Crosetto: l’ultima indagine di Striano Quote in vendita Crosetto aveva quote societarie in quattro aziende in compagnia dei fratelli Mangione. In tre i fratelli condividevano la proprietà oltre che con il ministro anche con gli ex calciatori della Lazio e della Nazionale Giuseppe Favalli e Giuliano Giannichedda. Si tratta delle società Apollinare Srl, Torsanguigna Srl e Zanardelli Srl. Stando ai documenti depositati in camera di commercio, sei mesi fa, l’ex lobbista delle armi e oggi ministro ha ceduto tutto. «Il signor Gaetano Mangione ha acquistato una quota del valore nominale di 2800 euro pari al 28 per cento del capitale sociale, con riserva di proprietà, in capo al cedente signor Guido Crosetto», si legge nella visura camerale della srl Torsanguigna, che si occupa di settore alberghiero e di ristorazione. Stessa operazione di cessione anche per le quote in Apollinare e Zanardelli. L’atto di cessione di quote viene sottoscritto il 16 aprile 2025, Crosetto si fa rappresentare da Cristina Cortella, capo della segreteria del ministro. Pubblico e privato si confondono. Per Apollinare il prezzo della cessione ammonta a 127 mila euro, cinquantamila subito e poi una comoda rateizzazione fino al 2026. Una cifra consistente considerando che il bilancio del 2024 si è chiuso con un fatturato di 223 mila euro e utili per 7 mila euro. Osservando i numeri del bilancio, sia patrimonio netto che il totale dei debiti, il valore delle quote incassato da Crosetto risulta molto alto. Il ministro percepisce 127 mila euro anche per la cessione delle quote in Zanardelli, srl che ha chiuso il 2024 con un fatturato di 374 mila euro. Mentre per Tosanguigna la cifra incassata è di 2.800 euro. Insomma, il totale delle cessioni quote nelle tre aziende fa 257mila euro. Il ministro che non pagava gli affitti: la nostra inchiesta sui debiti di Crosetto La sentenza e Mezzaroma C’è anche un’altra società nella quale il ministro condivideva le quote con i Mangione: Giuliet srl. In questo caso Crosetto aveva ceduto nel 2014 le quote all’imprenditore Marco Mezzaroma, in ottimi rapporti con le sorelle Meloni. È proprio in quelle settimane che iniziavano i guai per il socio di Crosetto. Sul rapporto Crosetto-Mangione si trova ampia traccia negli atti dell’indagine sul finanziere Pasquale Striano, indagato perché sospettato di centinaia di accessi abusivi nella banca dati della procura nazionale antimafia in concorso anche con giornalisti di Domani. In quel fascicolo su Striano c’è un rapporto dei carabinieri, depositato in procura nel marzo 2023: passa in rassegna i guai giudiziari degli amici del ministro per riscontrare una delle ultime attività investigative e le dichiarazioni di Striano. Dichiarazioni che vengono puntualmente verificate. In particolare quella relativa al procedimento giudiziario a carico di Mangione che «è stato indagato dalla Procura della Repubblica di Roma per peculato e appropriazione indebita, per aver evaso la tassa di soggiorno in danno erariale per 176 mila euro». Il procedimento penale era stato avviato dalla polizia locale per la gestione dell’albergo di lusso Dom, proprio di fronte alla sede della direzione nazionale antimafia. Un’inchiesta che si è chiusa con la sentenza di patteggiamento a un anno e sei mesi per peculato continuato, ma poi è arrivata la revoca della sentenza grazie a un articolo del decreto rilancio, voluto dal governo Conte, e convertito in legge dal parlamento. «L’atto di cessione delle quote da lei citato è pubblico ed è evidente che sia tutto regolare e trasparente», ci scrive lo staff del ministro. Una storia a lieto fine per tutti. Soprattutto per il ministro che, ad aprile, ha venduto le sue quote al socio Mangione per una cifra superiore ai 250 mila euro. Caso Striano, se ai giornalisti è vietato indagare sui potenti