L’estrema destra francese attacca i giornalisti ma al contempo sa di averne bisogno. Il modo in cui Marine Le Pen, la leader del Rassemblement national, si allena al dibattito televisivo di stasera con Emmanuel Macron – e cioè con ascetica preparazione e minuziose contrattazioni sulla gestione del confronto – non è che l’apoteosi di questo rapporto ambiguo. Mentre il tentativo di screditare i media e di escludere i giornalisti non allineati va avanti da anni, ciò che cambia con queste elezioni presidenziali è la forma: la candidata di estrema destra all’Eliseo ha riformulato la sua équipe per normalizzare anche i rapporti coi media. Ma il cambiamento è solo in superficie.

Esclusioni forzate

«La prima volta che Le Pen ha provato a impedirmi di partecipare a un suo evento è stata nel 2019 a Fréjus», racconta Tristan Berteloot. Il quotidiano per il quale lavora, Libération, «si è trovato molto spesso, negli ultimi anni, di fronte a divieti di partecipare a eventi o conferenze stampa». Berteloot scrive di estrema destra e quindi molti di quei rifiuti sono arrivati proprio a lui. «La prima volta, nel 2019, c’era un meeting del Rassemblement national e io risultavo accreditato. Ero arrivato da Parigi a Fréjus, ma la sera prima dell’evento mi è arrivato un messaggio: “Non sei più accreditato”».

Il punto di riferimento per la stampa all’epoca è Alain Vizier, che segue i media per Marine Le Pen così come aveva fatto in precedenza per il padre, Jean-Marie. Arrivato al Front National nel 1984, Vizier resta nella nuova versione del partito – quella guidata da Le Pen figlia – e per ben 36 anni gestisce le relazioni con la stampa. Quando Berteloot si ritrova con l’accredito negato, scrive a Vizier chiedendo spiegazioni. «Ne ho ricevuta una: non era piaciuto il ritratto che avevo scritto su David Rachline, il sindaco di Frejus». Rachline, proprio come il capo ufficio stampa Vizier, attraversa sia l’èra di Jean-Marie Le Pen che quella di Le Pen figlia: prima coordinatore della sezione giovanile del Front national, poi senatore, vicepresidente del Rassemblement national, e dal 2014 sindaco di Fréjus.

«Quando i colleghi sono venuti a sapere che mi era stato rifiutato l’accredito per ciò che avevo scritto, e quindi perché avevo fatto il mio lavoro, hanno organizzato una specie di grève, di sciopero spontaneo: hanno avvisato che se non fossi entrato, nessuno sarebbe andato». La solidarietà dei colleghi è valsa a Berteloot l’ingresso all’evento di Fréjus. Ma i casi di esclusioni della stampa considerata sgradita da eventi e conferenze stampa si protraggono tuttora. La scorsa settimana, quando Marine Le Pen ha organizzato una serie di appuntamenti coi giornalisti per presentare la sua agenda in vista del ballottaggio di domenica, alcuni fra loro hanno chiesto conto delle richieste di accredito respinte durante la notte elettorale del primo turno. Il 12 aprile Le Pen ha risposto: «Mi chiedete perché i giornalisti di Quotidien non abbiano avuto accesso? Ma non sono giornalisti. Quotidien è un’emittente che fa intrattenimento, non è giornalismo». Dunque «è lei che decide cosa sia giornalismo?», hanno protestato i giornalisti in sala. «Oui, c’est chez moi»: «Sì, nel mio dominio, nei miei eventi, a casa mia, sono io che decido».

La normalizzazione fittizia

Quest’ultimo episodio mostra bene ciò che non è mutato, nel rapporto tra Le Pen e i media: il fastidio per l’informazione libera. Oltre a Quotidien, o a Libération il cui ultimo accredito respinto è recente – «un evento a Dunkerque», dice Berteloot – ci sono testate come Mediapart che sono state sistematicamente escluse dall’accesso alle informazioni e agli eventi. Questo portale ospita inchieste e scoop di rilievo internazionale: la scorsa settimana ha svelato i contenuti di un rapporto dell’ufficio europeo antifrode (Olaf) riguardanti proprio Le Pen, e l’uso fraudolento di 137mila euro di fondi pubblici europei da lei incassati quando era europarlamentare.

Tuttavia qualcosa è cambiato, in vista di queste presidenziali. «Il divieto di accesso totale contro Mediapart è caduto, e soprattutto Le Pen si è sforzata di addolcire la propria immagine», spiega Berteloot. Anche nei rapporti coi media, la leader di estrema destra ha tentato il processo di dédiabolisation, e cioè di normalizzazione.

La maschera di Le Pen

La svolta tattica si concretizza con l’addio di Alain Vizier, alla fine del 2020, e l’arrivo di Caroline Parmentier al suo posto. «Continuano ad arrivarci le sue critiche quando i nostri articoli sono – come dire? – poco graditi, ma Parmentier è arrivata con l’obiettivo di pacificare le relazioni coi media e si comporta di conseguenza, cioè si mostra efficace, professionale, gentile». C’è soprattutto una cosa che le sta a cuore, racconta Tristan Berteloot: «Chiede che smettiamo di chiamare il Rassemblement un “partito di estrema destra”; vorrebbe che non venisse più scritta quella parola, “estrema”». Ma Berteloot non asseconda la richiesta: «Non c’è dubbio che sia Le Pen che il Rassemblement siano tuttora di estrema destra. Lo sono per la loro agenda, per la composizione dei quadri dirigenti, per i legami con la galassia più estremista».

Ancor più di Caroline Parmentier, è stato Éric Zemmour ad arrivare in soccorso a Le Pen nel suo tentativo di apparire meno «estrema». Da candidato al primo turno, e ora da sostenitore di Le Pen al ballottaggio, Zemmour si è fatto carico dei lati più aggressivi della storica battaglia contro i media. Ciò che l’estrema destra populista ha in comune, dagli Stati Uniti di Donald Trump alla Germania di Alternative für Deutschland, è il tentativo di catalizzare i sentimenti anti establishment contro i media tradizionali e contro i giornalisti. Questo tentativo si esprime non solo con la violenza verbale, ma a volte con vere e proprie aggressioni. E così è accaduto con Zemmour: a ottobre, a Villepinte, ha fatto il gesto di puntare un fucile contro i giornalisti; a gennaio ha detto loro che «siete i meno amati di Francia, il popolo non vi ama, e ha ragione». Zemmour ha scritto a lungo dalle colonne del Figaro, è un volto televisivo, e tra i suoi sostenitori c’è il magnate dei media Vincent Bolloré; ma questo non impedisce a lui di usare la retorica contro i giornalisti e ai suoi supporter di passare all’azione insultandoli.

Il lato aggressivo della destra di Zemmour fa gioco a Le Pen nell’apparire la meno «estrema» dei due. Ma è solo apparenza. In vista del dibattito di stasera, la leader ha già chiarito alla rete pubblica France 2 che ci sono giornalisti, come Anne-Sophie Lapix, non graditi come moderatori. Il resto, comprese le inquadrature, è curato nei dettagli, per non replicare il flop del dibattito del 2017.

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