Stavolta all’edizione straordinaria della Perugia-Assisi, la tradizionale marcia per la pace, si cammina in un campo minato dalle polemiche, e per fortuna alle nostre latitudini è solo metaforico. Da una parte quella parte del paese che accusa i disarmisti di «neutralismo», di «nénnéismo», di «equidistanza» fra l’aggredita Ucraina e l’aggressore Putin.

Dall’altra i pacifisti più radicali che, pur accodandosi, storcono il naso di fronte a parole d’ordine considerate poco oppositive alle scelte del parlamento e del governo italiano, il quale ultimo prepara un nuovo invio di armamenti a Kiev.

Tant’è che alla marcia aderisce il Pd di Enrico Letta (e del ministro della Difesa Lorenzo Guerini), e invia una delegazione guidata da Graziano Delrio e Valentina Cuppi, entrambi personalmente schierati per il no al riarmo, nel tentativo di arginare rischi di malumori fra i marciatori.

«Fermatevi, la guerra è una follia», è lo slogan, lo stesso di papa Francesco, a cui ugualmente non sono risparmiati gli attacchi per quell’imperativo rivolto tanto agli aggressori che agli aggrediti. In attesa della benedizione papale, c’è quella dei frati minori del Sacro convento di Assisi, da sempre protettori spirituali dell’iniziativa nata sessant’anni fa.

La marcia chiede «cessate il fuoco, corridoi umanitari» e ancora «fine della guerra, sicurezza per tutti, disarmo, rispetto dei diritti umani di tutti, comprese le minoranze», oltreché «l’apertura di un negoziato multilaterale sotto l’autorità dell’Onu».

I marciatori

Parole buone per i marciatori di una opinione e dell’altra? «No, parole senza equilibrismi, tatticismi», giura Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace e dal 1995 organizzatore della marcia, «offriamo una possibilità a tanti italiani che credono nella pace di far sentire la propria voce».

Nonostante la presenza del Pd, il «no alle armi» resta granitico per la gran parte del corteo. Per oggi, sabato, Sinistra italiana ha organizzato una maratona oratoria contro gli armamenti. Nonostante l’ultimo severissimo messaggio di Sergio Mattarella consegnato alle associazioni combattentistiche: «C’è chi manifesta disinteresse per sorti Ucraina», «chi si dimentica dei valori del 25 aprile e della Resistenza. Il 25 aprile ci ricorda un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista».

Lotti dal canto suo respinge l’accusa di disinteresse per la causa delle vittime: «Abbiamo partecipato alla giornata di mobilitazione e preghiera che il papa ha indetto il 26 di gennaio, un mese prima della guerra, per una minaccia a cui nessuno voleva credere.

E allo scoppio della guerra abbiamo subito organizzato manifestazioni in cui abbiamo invitato la comunità ucraina a prendere la parola. Li abbiamo sostenuti». Domani ci si saranno anche alcuni profughi ucraini. «Abbiamo fatto una scelta di campo chiarissima. Ma alle tifoserie rispondiamo che la realtà è più complessa. Siamo contro l’equidistanza, siamo per l’equivicinanza alle vittime che però ci sono da tutte le parti.

Nella guerra di Putin le prime vittime sono gli ucraini, ma sono anche i giovani russi mandati al macello e tutto il popolo russo che paga l’inasprimento del regime e le sanzioni internazionali». Parole condivise da Giulio Marcon, della campagna Sbilanciamoci, «l’appello è rivolto a tutte e tutti, il messaggio è che quella militare non è una soluzione giusta né efficace, come si vede ormai da due mesi».

Francesco Vignarca, coordinatore della Rete pace, che respinge la rappresentazione del disarmista isolato: «In realtà con le persone vedo molta più comunicabilità. Il vero “blocco” è con la politica schierata e con i media, in particolare le tv, che ci hanno davvero dato poco spazio addirittura creando “finti pacifisti” da attaccare. Si è scatenata un’offensiva contro i pacifisti per coprire molte scelte sbagliate e “interessi armati”. Serbe un nemico interno da attaccare e considerare “colpevole”. In questi giorni alcuni giornali ce l’hanno più con noi che con Putin. Forse perché in passato hanno assecondato certi avvicinamenti a lui».

I risultati della diplomazia

Ma alla fine, grazie al delicato lavoro di diplomazia degli organizzatori, oltre al Pd e ai partiti della sinistra, anche molte delegazione M5s, a ieri sera erano 138 le amministrazioni cittadine ad aderire e inviare i loro gonfaloni. Fra le tante Roma, Firenze, Bergamo, Bologna, Arezzo, Bari, Latina, Modena, Olbia, Padova, Parma, Ragusa, Reggio Emilia, insieme ai consigli regionali di Toscana, Marche, Lazio, Piemonte oltreché l’Umbria, che organizza e patrocina.

I sì dalle associazioni, fino alle singole scuole, sono una fiumana. Ci sono anche l’Ordine e la Federazione dei giornalisti, Articolo 21 e Amnesty international che per il 3 maggio hanno indetto un sit in davanti all’ambasciata russa per ricordare gli omicidi dei cronisti.

Resta la questione dell’aiuto militare all’Ucraina resistente. E di cosa sarebbe il paese oggi se non avesse resistito fin qui. Che sarà per forza di cose anche il centro polemico delle celebrazioni del giorno dopo, il 25 aprile.

Lotti risponde con un ragionamento che definisce «di concretezza»: «Noi occidente stiamo dando armi all’Ucraina da otto anni, dalla prima invasione russa nel Donbass. Ma questo non ha impedito il massacro. E questa è una guerra che nessuno potrà vincere. Riconosciamo il diritto sacrosanto degli ucraini a resistere, e anche di chiedere aiuto. Ma chi deve dare l’aiuto deve valutare le conseguenze. La prima domanda è: come mai in questi otto anni l’occidente non ha messo in piedi un’iniziativa diplomatica tale da scongiurare l’escalation?».

La seconda, l’altra preoccupazione dei marciatori: «Ci hanno sempre dipinto come utopisti, questo è il momento del realismo. Se si continua ad investire sull’escalation, non è che rinunciando a fare la pace nel mondo sacrifichiamo anche la pace sociale? Perché la prossima frontiera di questa guerra sarà l’esplosione di un conflitto sociale dentro il nostro paese, così forte da far saltare tutti quelli che oggi pensano di essere sulla strada giusta».

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