Sostenere che il governo di Giorgia Meloni sia “isolato” sul piano politico europeo per via delle sue posizioni è una considerazione che torna spesso nel dibattito, ma è una semplificazione che tradisce una visione superficiale delle dinamiche politiche internazionali. In un mondo caratterizzato dalla crescente frammentazione geopolitica e dalla trasformazione dei rapporti di potere globali, il concetto stesso di “isolamento” perde di significato. Oggi, nell’èra del disordine sistemico, tutti sono isolati e, al tempo stesso, nessuno lo è davvero.

Il sistema internazionale non è più quello del mondo bipolare della Guerra fredda né quello del trionfante unipolarismo occidentale degli anni ‘90. L’Europa stessa non è più quel monolite integrato che, negli anni della crisi finanziaria e delle austerità, appariva guidato da un duopolio franco-tedesco. A questo quadro, si aggiunge l’impatto delle politiche di Donald Trump, che hanno rotto la tradizionale coerenza strategica del campo occidentale.

In questo contesto di polverizzazione parlare di isolamento per il governo italiano è privo di fondamento. Non c’è un fronte coeso in Europa da cui l’Italia – e il suo governo – potrebbe essere isolata.

Viaggio negli Usa

Lo dimostra anche il solido rapporto di Giorgia Meloni con Ursula von der Leyen. Pur non entrando mai ufficialmente nella maggioranza europea, e avendo votato contro la rielezione della leader del Ppe, l’Italia ha ottenuto una vicepresidenza e una linea politica della Commissione molto più vicina a quella del governo italiano.

Meloni volerà da Trump nei prossimi giorni avendo incassato la copertura della Commissione europea in merito alle trattative sui dazi. Anche se la premier italiana non è l’interlocutore preferito dei partiti europeisti, questi devono prendere atto che le condizioni politiche sono quelle che sono: quasi ovunque in Europa si fanno largo destre molto più estreme di quella italiana con cui tutto sommato si può dialogare; il nuovo governo tedesco deve ancora insediarsi e tarare la propria politica estera; Trump resta un rebus per tutti e di certo il tycoon non ha in simpatia quella leadership europea che lo ha attaccato e deriso nel suo primo mandato; dunque mettere all’angolo Meloni perché ha un buon rapporto con la Casa Bianca non avrebbe senso in questo momento.

Inoltre, iniziative come quella della coalizione dei volenterosi e le discussioni sul riarmo europeo continuano a mostrare un sistema di relazioni multilaterali e intergovernative a Bruxelles da cui è difficile escludere qualcuno, ancor di più è difficile finire isolati se si guida il terzo paese dell’Eurozona.

Tre scenari

Con queste premesse dunque, la premier arriverà a Washington. Qui si aprono tre possibili scenari. Il primo è che Donald Trump voglia continuare a tenere le carte coperte, l’incontro con Meloni si fermi a dichiarazioni di circostanza, con il presidente americano che tornerà a tuonare nelle prossime settimane senza offrire prevedibilità. D’altronde questo è già quanto accaduto con gli incontri che Trump ha avuto con Keir Starmer ed Emmanuel Macron.

Il secondo scenario è quello in cui Meloni riesce quantomeno a far parlar chiaro il presidente americano, fargli delineare una lista di richieste da portare al tavolo negoziale con l’Unione europea. In questo caso i buoni uffici di Meloni, e il buon tempismo della visita, produrrebbero una chiarificazione del quadro. L’Italia guadagnerebbe maggior peso diplomatico rispetto agli alleati europei.

Il terzo è, invece, lo scenario da sogno per Meloni. Con Donald Trump che annuncia subito qualche misura di sollievo nei rapporti tra Unione europea e Stati Uniti, magari dazi più selettivi che escludono settori importanti per l’Italia, o si prende l’impegno a farlo in breve tempo. Da portavoce ufficiosa dell’Ue la presidente del Consiglio si trasformerebbe in negoziatrice di fatto.

In quel caso si concretizzerebbe subito l’obiettivo per cui da mesi lavora Meloni, cioè diventare la relazione ponte tra America ed Europa. Se così fosse, la premier ne trarrebbe giovamento anche sul piano interno, silenziando la voce trumpiana di Matteo Salvini e ponendo fine alla pressione che questo esercita sul governo. Se il secondo o terzo scenario si verificassero Meloni offrirebbe una prova di leadership diplomatica e affidabilità sul piano internazionale. L’Italia, in questo caso, si porrebbe come un attore dinamico capace di muoversi tra le crepe di un ordine globale in fase di ristrutturazione.

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