Oggi su Domani è il podcast serale del quotidiano Domani. Una pillola di pochi minuti per darvi subito un assaggio della prossima edizione, che sarà disponibile in edicola il giorno dopo e già dopo cena per gli abbonati digitali. Per ascoltare le altre puntate, man mano che verranno pubblicate, potete cliccare qui. Trovate questo podcast anche su Spotify Spreaker, Google, Apple podcast. Potete ascoltare “Oggi su Domani” anche su Alexa e con l’assistente vocale di Google.

Questa edizione del quotidiano è ricca ma vale la pena leggerla anche solo per le due pagine di intervista a Noam Chomsky. Che risponde su alcuni temi clou del dibattito culturale odierno. Per esempio inquadra in modo critico la politica identitaria e ci riporta alla sinistra tradizionale, quella cioè che si preoccupa di problemi di classe. E poi, da sostenitore indefesso della libertà di parola, racconta cose come questa, che ora vi riporto:

“Il mio ufficio al lavoro viene vandalizzato a causa delle mie opinioni. L’ufficio postale del campus deve tenere sotto osservazione speciale i pacchi che mi arrivano a causa di minacce di morte. Le assemblee in cui parlo sono interrotte dagli studenti. Devo avere la protezione della polizia nel campus se parlo di determinati argomenti. I miei libri non solo sono stati dimenticati, ma intere case editrici sono fallite perché hanno osato pubblicare un mio libro. Questa è cancel culture con vendetta. Non si tratta solo di me, ovviamente. È molto peggio per molti altri. Siccome aveva preso di mira persone di sinistra e dissidenti, di tutto questo nessuno pareva accorgersene. Quindi sì, sono molto contento che qualcuno finalmente inizi a notarlo, ora che il suo bue viene incornato”, dice il grande linguista e intellettuale. “Non pareva importare però, tutto questo, quando succedeva continuamente ai soliti bersagli” ricorda Chomsky. È come essere improvvisamente preoccupati per la politica identitaria tra gli ispanici quando c’è stata ovunque una politica identitaria suprematista bianca. Sì, è bene preoccuparsene. Chiediamoci perché non ce ne siamo mai preoccupati quando accade in modo importante, costantemente, ma contro persone che erano considerate ciò che George Orwell chiamava «unpeople», cioè «non persone». 

Una intervista che davvero vale la pena leggere.

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