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Oggi vi porto a Genova, o meglio ci sono almeno due storie che ci portano a Genova e che forse non sono così distanti l’una dall’altra. In prima pagina Futura D’Aprile racconta la Genova dei portuali che da anni ormai lottano per impedire l’accesso alle armi saudite. Dal 2019, ogni venti giorni nello scalo genovese getta l’ancora una delle sei navi cargo della Bahri; lo fa già carica di armamenti ed equipaggiamenti militari oppure pronta a caricarne di nuovi negli scali statunitensi verso cui fa rotta prima di tornare  in Arabia Saudita. Il contenuto di queste “navi della morte” finisce poi nelle mani della Guardia civile saudita, tuttora impegnata in scenari di guerra come quello yemenita. ll Collettivo autonomo dei lavoratori portuali organizza una nuova protesta per il 22 luglio, in concomitanza con l’arrivo nello scalo della Bahri Jazan.

La Genova di questa lotta allora, ma anche la Genova delle tante lotte che esattamente vent’anni fa portarono la società civile in piazza contro la globalizzazione neoliberista. All’epoca, e in quel luglio 2001 del G8, i manifestanti chiedevano a gran voce un altro mondo possibile. Vent’anni dopo Genova, serve una nuova agenda e proposte che richiamino un’idea generale di società, scrivono Loris Caruso e Monica Di Sisto. L’uno è docente e attivista del Cantiere delle idee, l’altra è vicepresidente di Fairwatch e madrina di infinite battaglie. Entrambi assieme ad altre voci hanno steso un saggio collettivo e il titolo sta in una domanda: “Un altro mondo è ancora possibile?”. La risposta è che non solo è possibile ma richiede tutto il nostro impegno. Caruso e Di Sisto non si limitano a un avevamo ragione a Genova, o a un ve lo avevamo detto. Stilano una agenda concreta e ambiziosa che passa dal salario minimo all’ambiente, e che richiede la rivoluzione copernicana ma necessaria di riscattare la politica. Rimettendo al centro non solo lo stato e il pubblico ma la partecipazione e quindi la democrazia. Una democrazia da riscattare. Questo può significare Genova oggi.

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