L’embargo del petrolio russo, anche se non è totale, è «un successo completo», secondo Mario Draghi, che in chiusura del Consiglio europeo si dice «piuttosto soddisfatto». Ma il vertice dei leader Ue non è solo luci. Tanto per cominciare, ci sono le ombre russe di Matteo Salvini, che braccano Mario Draghi anche fin dentro il palazzo Justus Lipsius. Poi ci sono i successi ventilati, come quello sul tetto del prezzo dell’energia, che in realtà nascondono l’ennesimo rinvio. E ci sono i fallimenti esibiti: «Lo status di candidata per l’Ucraina trova l’obiezione di tutti gli stati tranne l’Italia».

Salvini e Mosca

Le iniziative russe di Salvini piombano anche sul vertice Ue. Draghi vuol trasmettere fermezza: «Questo governo è incardinato nell’Ue e nel binario transatlantico, così è nato e così continuerà a muoversi. Non si fa spostare da queste cose». Poi però un affondo al leader leghista arriva: «In un’audizione al Copasir, un mese fa, ho detto: io non voglio entrare nei rapporti che queste persone del governo possono avere. L’importante è che siano trasparenti». Trasparenza che manca all’appello. Il caso è all’attenzione dell’Unione europea, anche perché la Commissione dell’Europarlamento che si occupa delle interferenze straniere (Inge), e che ha già segnalato le ingerenze russe in partiti come la Lega, intende occuparsene; il coordinatore dei socialdemocratici dentro Inge, l’eurodeputato del Pd Pierfrancesco Majorino, annuncia battaglia.

La Russia al vertice

Il summit Ue dà il via libera al sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, depotenziato dalle concessioni ai recalcitranti: si comincia col blocco per le petroliere; per gli oleodotti, c’è l’esenzione temporanea. Quanto durerà è da vedere. Il premier ungherese ha ottenuto ogni «eccezione» e «garanzia» che chiedeva. La Germania, pure coinvolta sugli oleodotti, ottiene tempi più lenti, anche se assieme alla Polonia promette lo stop entro fine anno; il che permette a Ursula von der Leyen e Charles Michel di annunciare «lo stop al 90 per cento del petrolio russo», anche se la decisione in sé tocca solo i due terzi. «Le sanzioni dureranno molto a lungo», avverte Draghi. Saranno anche efficaci? «Il massimo impatto sarà questa estate». Poi adegua il tiro: «Da questa estate in poi». A chi chiede conto del pagamento del gas in rubli, risponde così: «Nel caso italiano, il pagamento avviene in euro secondo contratto. Un agente di Gazprom poi converte gli euro in rubli. L’Eni si è rivolta anche a un tribunale arbitrale in Svezia per accertarsi che non ci siano violazioni. A differenza di altre compagnie è stata molto trasparente», sostiene Draghi.

Modello recovery e prezzi

Il sistema di indebitamento comune sperimentato in pandemia «è un precedente impossibile da dimenticare» per Draghi. Vuole replicarlo per settori come difesa ed energia, e qui cita esplicitamente «le interconnessioni» (i collegamenti per il trasferimento di energia). Mentre ragiona sui soldi Ue per le infrastrutture, rimane incompiuto il grande tema che già prima della guerra l’Italia, non da sola, sollevava: la necessità di rivedere la formazione dei prezzi dell’energia, e il tetto ai prezzi sulle importazioni. Su quest’ultimo punto, da questo Consiglio esce un mandato alla Commissione perché elabori una proposta. «Si invita la Commissione a esplorare strade tra le quali l’introduzione di un tetto ai prezzi dell’import, where appropriate». Tutto nel regime delle ipotesi, nel quale l’Ue naviga ormai da mesi.

Il futuro dell’Ucraina

Questo Consiglio europeo chiarisce bene quali sono le iniziative che l’Ue è disposta a ingaggiare con convinzione, per Kiev, e quali con più timidezza. L’idea di concedere all’Ucraina lo status di paese candidato, stando a Draghi che la caldeggia, «trova l’obiezione di quasi tutti gli stati, se non tutti – tutti tranne l’Italia». La Commissione europea presenterà un rapporto a fine mese, l’Ue sta valutando «un’altra prospettiva»: si può immaginarla somigliante, se non identica, allo scenario della confederazione tratteggiato da Emmanuel Macron, con un “cerchio largo”, una comunità politica, distinta dal nocciolo duro degli stati membri. Ciò su cui l’Ue è impegnata con zelo è il piano economico di ricostruzione di un paese ancora in guerra. I leader europei fanno da sponda a Ursula von der Leyen sia sull’assistenza finanziaria da 9 miliardi per Kiev nel 2022, che sull’idea di una «piattaforma» per donatori pubblici e privati. «L’Ue e i suoi stati membri sono pronti ad assumere un ruolo primario per ricostruire il paese». Anche la Banca europea degli investimenti è già attiva sul dossier. «Ma i soldi saranno legati all’attuazione di riforme», mette in nota il Consiglio.

Grano e difesa

I leader appoggiano anche i piani di Bruxelles dal lato della difesa: ci sono gli acquisti comuni, c’è l’idea che von der Leyen porta avanti da prima della guerra di esenzioni Iva, c’è il «rafforzamento delle capacità». Poi ci sono pure le puntualizzazioni di Draghi: «Spendiamo molto più della Russia», nota per l’ennesima volta; bisogna evitare i doppioni. «I generali sono gelosi e non si parlano, ma i soldi poi sono tutti nostri». In realtà in Ue finora i soldi sono andati all’industria militare, con Leonardo in testa. E il premier in realtà rafforza questa linea, alludendo in modo critico al fatto che «il 60 per cento delle nostre armi è importato». Se lo snodo delle spese militari – e la “bussola strategica” – era precedente al conflitto in Ucraina, mirata a oggi c’è l’iniziativa sulla quale i leader europei stanno puntando negli ultimi giorni: sbloccare il grano. Dopo una telefonata tra Draghi e Putin sul tema del porto di Odessa da sbloccare, subito dopo un’ulteriore chiamata di Scholz e Macron, il presidente russo ha lasciato intendere margini per un’iniziativa sotto l’egida dell’Onu. In chiusura del Consiglio europeo, Michel ha parlato di «corridoi marittimi, da realizzare con l’Onu, ma serve un accordo».

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