Silvio Berlusconi passerà i prossimi giorni in un lussuoso hotel di Merano ed è il segnale che tutti nel centrodestra conoscono. È l’antica tradizione del leader di Forza Italia: prima di ogni battaglia campale, si ritira in una beauty farm per ricaricare le batterie.

Del resto, il Cavaliere è abituato a giocare su più tavoli e a programmare colpi di teatro in attesi. Oggi tutti sanno che sta lavorando per recuperare voti per una sua scalata al Quirinale. Ma tra i parlamentari si sussurra anche di un piano B. «Silvio sta raccogliendo voti, punto», confida un deputato ex democristiano vicino ad Arcore.

Fuor di metafora: è vero che Berlusconi è a caccia di voti e che li conta ad uno ad uno. Però non è detto che quei voti servano per la corsa al Colle. Se le voci che si rincorrono fossero confermate e davvero il presidente del Consiglio Mario Draghi fosse deciso a dimettersi dopo l’approvazione della legge di bilancio, infatti, si libererebbe un’altra casella da riempire per cui quei voti tornerebbero utili.

Draghi, subdorato dalla mole di emendamenti alla finanziaria che i partiti vogliano rosolare il suo governo, sta seriamente valutando di lasciare palazzo Chigi. Se così fosse, trovare un nuovo premier sarebbe quasi più complicato che eleggere il capo dello Stato per cui Draghi a quel punto sarebbe in corsa.

Tutti i possibili nomi tecnici di questo governo, infatti, si sono bruciati. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, è avversato da tutte le forze della maggioranza per il mancato dialogo proprio sulla legge di bilancio. Quella della Giustizia, Marta Cartabia, non ha saputo coagulare intorno a sè un consenso politico trasversale nè sarebbe sostenuta convintamente da almeno un pezzo dell’arco parlamentare.

I conti tornano

Quindi, si ragiona nel centrodestra, per una eventuale premiership di fine legislatura tornano preziose le antiche prassi costituzionali. Se un nuovo governo non è all’orizzonte, il presidente della Repubblica affida un incarico esplorativo alla seconda più alta carica dello Stato – il presidente del Senato – per interloquire con le forze politiche e verificare se il parlamento sia in grado di formare una nuova maggioranza. E lo scranno più alto di palazzo Madama è occupato da una berlusconiana di ferro come Maria Elisabetta Alberti Casellati, che già aveva ricevuto un breve mandato esplorativo fallito nel 2018.

Ecco dunque il possibile schema alternativo: i voti raccolti per portare Berlusconi al Quirinale sarebbero la mossa utile a spaventare il centrosinistra e distrarre la stampa, ma in realtà servirebbero a sostenere un governo di centrodestra di fine legislatura. Un governo costruito grazie al fatto che il prossimo capo dello Stato potrebbe fare ciò che il centrodestra ancora oggi rinfaccia a Sergio Mattarella: non avergli concesso nel 2018 di tentare di creare un governo omogeneo, preferendo dar vita allo spurio Conte 1.

Questa volta, invece, Berlusconi si starebbe premurando di fare personalmente i conti per non sprecare l’eventuale occasione. La base di partenza è sempre la stessa: Forza Italia conta 127 parlamentari, Fratelli d’Italia 58 e la Lega 197, più i 31 di Coraggio Italia di Giovanni Toti. Il totale certo è 413, il punto è come aggiungere la settantina di voti che mancano per arrivare alla maggioranza assoluta con qualche voto di agio.

Una strada è quella di cercare i 43 voti di Italia Viva, che nell’ultima fase ha votato molto spesso come il centrodestra ma che perderebbe pezzi nel caso di una scelta politica esplicita per un governo d’area.

L’alternativa è più semplice: «Questo parlamento ha il gruppo misto più grande della storia repubblicana», osserva un ex ministro e deputato per sei legislature, che di maggioranze ne ha fatte nascere molte. Alla Camera il misto è di 66 parlamentari. Facilmente arruolabili sarebbero i 6 del Centro democratico di Bruno Tabacci, gli 8 del Maie e socialisti e i 5 di Noi con l’Italia e Rinascimento di Vittorio Sgarbi. Da avvicinare sarebbero i 26 non iscritti a nessuna componente, in maggioranza ex grillini e quindi senza chances di essere ricandidati, e 14 sempre ex M5S confluiti di Alternativa c’è. Incerti, invece, i 3 di Azione, Più Europa e Radicali e i 4 delle minoranze linguistiche.

Foto Claudio Furlan/LaPresse

Discorso analogo vale per il Senato, dove sarebbero certi i 2 senatori del Maie e i 7 di Idea, mentre si potrebbe lavorare sui 21 non iscritti e i 4 di Alternativa c’è. Risultato, pallottoliere alla mano: 441 voti e altri 40 su cui lavorare ma con margini di convincimento, secondo i pontieri mandati in avanscoperta.

Ecco allora il vero colpo di teatro possibile: un governo di centrodestra per l’ultimo anno di legislatura, da costruire facendo leva sugli incandidabili nella prossima legislatura per i quali un anno di stipendio è prezioso, ma anche sul fatto che un voto anticipato destabilizzerebbe il paese e che infondo nessuno lo vuole.

 

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