Che non ci fossero i numeri per eleggerla capo dello stato, la presidente del Senato Elisabetta Casellati lo sapeva. Ci ha voluto provare comunque, senza ascoltare chi le suggeriva prudenza nell’esporsi e soprattutto nell’esporre la seconda carica dello Stato al fuoco di fila dei franchi tiratori.

Invece, il disastro annunciato è stato anche peggiore di quel che ci si aspettava: appena 382 voti, 71 in meno rispetto ai numeri del centrodestra e una vendetta consumata tutta dentro il suo stesso partito, Forza Italia. Un risultato così desolante da non permettere nemmeno di ipotizzare un secondo tentativo ma solo il ritiro.

Così il centrodestra ha scelto di sacrificare, per arroganza degli attori in campo ma anche poca visione politica, la presidente del Senato. A fare le spese degli errori non solo propri ma anche altrui è una donna: tutti a chiederne l’elezione, quello femminile è il primo nome sacrificato in questa guerra per il Quirinale.
Eppure, Casellati non ci ha creduto fino a che non è stata scrutinata l’ultima scheda e non l’ha presa in mano di persona, incurante di chi le diceva che etichetta istituzionale prevedesse di lasciare il posto al suo vicepresidente. Alla fine, è stata vista uscire appoggiata al braccio di un commesso: sfinita dalla conta, nel suo tailleur blu elettrico con mascherina in tinta.

Storia di un disastro annunciato

LaPresse

Che lei puntasse alla presidenza della Repubblica è apparso chiaro a tutti, nel centrodestra, sin dai primi colloqui nei giorni prima del voto. Sempre un passo indietro rispetto a Silvio Berlusconi, al momento del suo ritiro aveva subito fatto capire di sentirsi l’unica a poter conquistare il Colle dentro il centrodestra.

Per questo, ha provato a giocare la carta dell’essere la candidata coperta: ha obbligato Matteo Salvini a tenerla fuori dalla terna di nomi “super partes” presentati al centrosinistra e subito bruciati, ma ci ha tenuto a farsi presentare come “non candidata” di lusso, quella su cui ripiegare una volta prevedibilmente scartati gli altri tre. Così è stato e nella notte tra la quarta e la quinta votazione è maturato il tentativo di blitz di un centrodestra guidato da un Salvini sempre meno lucido. Quello tra Casellati e Salvini, del resto, è stato un incontro tra «due arroganze simili», dice un deputato di Forza Italia.
Quella di Casellati, nel non volersi convincere che proprio i suoi non la votassero. Eppure, i segnali c’erano tutti: quando il suo nome aveva iniziato a uscire, il terzo giorno di votazioni, in Transatlantico i maggiori fastidi erano trapelati proprio dal centrodestra e in particolare dagli azzurri, che mal hanno tollerato non solo la sua gestione d’aula, ma soprattutto le intemperanze caratteriali che la hanno resa famigerata a palazzo Madama.

«Ma lei è tignosa, non ha voluto capirla con le buone e sono servite le cattive», ha commentato un deputato centrista che ben la conosce, anche nei suoi trascorsi da membro laico del Csm.
Lei ci ha provato fino in fondo e, persa ogni etichetta istituzionale, ha inviato sms ha tutti i parlamentari che considerava amici, anche negli altri gruppi, per chiedere direttamente di essere votata. Si è fidata dei sì, o forse si è convinta che anche i silenzi lo fossero.

Ora, però, la sconfitta è duplice, con il coro dal centrosinistra che le chiede di dimettersi anche da presidente del Senato dopo un fallimento che si è consumato nel peggiore dei modi e ha trascinato nell’agone politico la seconda carica dello Stato.

Le responsabilità del capitano

Ma l’arroganza è stata anche di Matteo Salvini, che ha scelto di fidarsi del suo fiuto politico invece che delle evidenze del Transatlantico. Ha capitolato sotto pressioni insistenti di lei, ha confidato sul fatto che i grandi elettori di centrodestra, soprattutto di Forza Italia, fossero troppo spaventati dall’ipotesi del voto anticipato per tradire. Invece, il voto segreto ha colpito ancora e ora cercare responsabilità è inutile.

Il peso politico è tutto sulle spalle del leader della Lega, che aveva anche improvvisato - solo e senza gli alleati intorno, circondato invece dalle leghiste Erika Stefani e Lucia Ronzulli - una conferenza stampa in cui spiegava che il centrodestra voleva eleggere una donna, e il centrosinistra con spocchia si rifiutava.

Invece, il risultato è che quello di aver stroncato politicamente la prima donna alla presidenza del Senato, sacrificata dalla fretta ma anche tutto sommato poco rimpianta dal centrodestra stesso.

Dopo l’esito, infatti, è partita la caccia ai franchi tiratori e si è andati oltre, per capire come gestire le prossime votazioni e soprattutto la crisi di nervi in cui è precipitato Salvini dopo l’apertura del fronte interno al centrodestra che lui stesso, durante il voto, aveva definito “compatto e granitico”. Nessuno, invece, ha fatto quadrato intorno a Casellati, già dimenticata nelle dichiarazioni dei colleghi e chiusa nel suo studio di palazzo Madama, ha rinunciato a presiedere la sesta votazione.

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