Con la Turchia l’Unione europea sceglie la strada della conciliazione. Porte aperte al dialogo con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, porte chiuse verso i rifugiati, altri soldi europei ad Ankara. È la strategia di Bruxelles, ispirata da Berlino. A parole «i diritti non sono negoziabili», nella pratica né la repressione interna di Erdoğan, né l’uscita dalla convenzione di Istanbul, né l’espansionismo nel Mediterraneo orientale hanno impedito oggi a Charles Michel di invocare una «de-escalation». Con Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo è volato in Turchia per incontrare il presidente turco. Parola d’ordine: collaborazione, «agenda costruttiva». Conclusioni del meeting: «Ci auguriamo che la Turchia colga questo momentum, la finestra di opportunità».

De-escalation

La funzione del vertice era attestare una volontà politica e incardinare un dialogo, più che dettagliare proposte concrete. Su quelle si inizierà a lavorare al Consiglio europeo di giugno, con un orizzonte che va oltre le elezioni tedesche di settembre, quando per la Germania le prese di posizione sulla Turchia avranno un impatto interno più attenuato. Ora c’è la cornice del dialogo. Basato su cosa? Michel è arrivato ad Ankara con in mano l’accordo tra i capi di governo europei di fine marzo. All’ultimo Consiglio, i leader hanno concordato di «mettere sul tavolo proposte per una relazione stabile con la Turchia». Il punto irrinunciabile per Grecia e Cipro, ma anche per la Francia, è che il presidente turco avvii una de-escalation nel Mediterraneo orientale. La Turchia va a caccia di risorse energetiche con le sue navi trivelle, e alimenta dispute marittime, oltre che territoriali: da tempo ha autoproclamato suo il nord di Cipro. Disinnescare le tensioni è un obiettivo dell’incontro. In cambio l’Ue fa proposte.

Scambi

«Vogliamo rafforzare i legami economici, siamo i primi partner commerciali della Turchia» ha detto ieri von der Leyen dopo il vertice. Infarcendo il discorso con i suoi cavalli di battaglia – green e digitale – la presidente della Commissione ha detto di voler intensificare commercio e investimenti: «Miglioreremo e modernizzeremo l’unione doganale con Ankara». La cornice attuale risale al 1995, non comprende ad esempio servizi e appalti pubblici. Alla Turchia Bruxelles concede pure una revisione del sistema dei visti di ingresso nell’Ue. Mobilità e unione doganale, quindi. C’è un altro punto ed è quello centrale: la gestione dei flussi migratori. L’Ue intende continuare a finanziare la Turchia, come prima e anzi di più. Nel 2016, in piena crisi migratoria, Bruxelles, su spinta tedesca, ha firmato un accordo che garantiva a Erdogan sei miliardi di euro. In cambio la Turchia ha trattenuto nei propri confini quattro milioni di rifugiati. A marzo 2020 Erdogan ha usato la gestione dei flussi come arma di ricatto per partite geopolitiche come quella siriana. Ha reclamato più soldi, e secondo la Grecia ha «spinto» verso la frontiera i migranti. Atene a sua volta li ha respinti e von der Leyen ha definito la Grecia «scudo d’Europa».

Rifugiati

Ora, a conferma di una visione da Europa “fortezza”, la presidente garantisce «la continuità dei fondi. E se la Turchia rispetta gli impegni, previene le partenze, prevede i rientri dalla Grecia, i fondi Ue garantiranno ancor più opportunità». I sei miliardi concordati nel 2016 stanno per terminare e l’Ue è pronta a fare il bis. A settembre Bruxelles ha inserito nella sua proposta su asilo e migrazione questo passaggio: lo stanziamento di fondi alla Turchia «continua a rispondere a bisogni essenziali. Essenziale sarà perciò che l’Ue dia alla Turchia un sostegno finanziario continuativo». Anche l’Italia è d’accordo. «Per noi l’importante è che tutte le rotte migratorie beneficino di fondi adeguati, non solo il Mediterraneo orientale ma anche centrale e occidentale, Libia e Spagna», dice un funzionario del nostro governo a Bruxelles. Una posizione, spiega, «ereditata dai governi precedenti». L’accordo sui rifugiati è contestato da una pletora di organizzazioni per i diritti. Amnesty lo definisce «un fallimento» e fa appello ai governi europei. Per tutta risposta, von der Leyen oggi ha parlato di quel modello come di schema replicabile con altri paesi. Sui diritti dei rifugiati, e sui diritti in generale, i cronisti hanno chiesto conto a von der Leyen e Michel.

«Le ong sono preoccupate per lo stato dei diritti in Turchia, mettete il commercio davanti a questo?».

Von der Leyen: «I diritti umani non sono negoziabili. Vorremmo che la Turchia rivedesse la decisione di uscire dalla convenzione di Istanbul e che rispettasse i diritti umani». Michel: «Abbiamo espresso a Erdogan le preoccupazioni sugli sviluppi in Turchia, su attacchi a partiti politici e media». Parole. Ma i fatti dicono: «Agenda costruttiva».

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