Von der Leyen mantiene l’impegno della riduzione di emissioni al 90 per cento, ma cede alle pressioni dei governi: apre al 3 per cento di crediti internazionali
Nella settimana delle temperature bollenti, coi meridionali d’Europa – portoghesi, spagnoli, italiani – presi a fronteggiare gradi oltre i quaranta e morti di calore, la Commissione Ue porge un bicchiere d’acqua che solo in parte rinfresca: il bicchiere è mezzo pieno per chi vuol vedere che questo mercoledì Bruxelles ha fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni del 90 per cento entro il 2040. È mezzo vuoto se si guarda ai modi per raggiungerlo: una quota potrà essere delocalizzata fuori dall’Ue.
Tecnicamente è il sistema dei «crediti internazionali», politicamente è la traiettoria già vista sul tema migranti, un modello Albania applicato al clima: questa è un’Ue che vede nell’esternalizzazione – cioè nello spostamento fuori confine – la via di uscita politica. «L’Europa dovrebbe diffondere soluzioni per il clima, invece di scaricare altrove le proprie responsabilità sul clima», dice il capogruppo verde all’Europarlamento Bas Eickhout.
Per capire come mai la Commissione abbia acconsentito a questo sistema, vale la pena riportare la ricostruzione fatta questo mercoledì da Teresa Ribera, commissaria alla competitività e reduce socialista in una squadra che guarda a destra: «Non siamo più nella situazione politica di un anno fa», in cui i piani per il clima «godevano di un’ampia maggioranza e del sostegno di uno dei più grandi paesi. Oggi non è più così».
La gente - dice Ribera – chiede di fare qualcosa per il clima, è preoccupata; lo è «l’85 per cento degli europei». Ma non significa che la classe politica agisca di conseguenza: sia lo spostamento a destra di Europarlamento e Commissione, che l’attivo ostruzionismo di governi di peso, fanno sì che anche solo mantenere l’obiettivo per il 2040 sia rivendicato da Bruxelles come un traguardo.
Il bicchiere di Bruxelles
C’era una volta, e in teoria c’è ancora, l’impegno europeo per l’accordo di Parigi. Peccato che Parigi per prima finga di essersene dimenticata: Emmanuel Macron è tra i leader che più si sono esposti per condizionare al ribasso la proposta della Commissione. La destabilizzazione politica dell’obiettivo 2040 è andata in scena pure giovedì scorso, al vertice dei capi di stato e di governo, data la presenza di von der Leyen.
La Francia non è l’unica ad aver strattonato i piani climatici: anche la Polonia è tra questi; del resto il triangolo di Weimar 2.0 (con Macron, Tusk e Merz) ha tra i punti in comune lo slancio per la deregulation: vale pure per il green. L’Italia del governo Meloni – che fa della demonizzazione del green deal un cavallo di battaglia – si accoda ai sabotatori del clima («Il target 2040? Una follia», si agita la Lega; «È desertificazione produttiva!», tuona FdI).
Von der Leyen si orienta su Berlino: l’accordo di coalizione del governo Merz, pur sostenendo l’obiettivo del 90 entro il 2040, stipula che lo sforzo nazionale non superi gli obiettivi già stabiliti per la Germania (l’88 per cento, non il 90) e che quel che resta – fino al 3 per cento – possa essere raggiunto con progetti in paesi non europei. È proprio il compromesso che si trova nella proposta Ue, presentata questo mercoledì sotto forma di emendamento alla legge sul clima.
La Commissione «stabilisce il target della riduzione del 90 per cento di emissioni – rispetto ai livelli del 1990 – così come promesso nelle linee guida» presentate da von der Leyen per il nuovo mandato, mantenendo l’orizzonte della neutralità climatica entro il 2050.
Tuttavia fino all’anno scorso Bruxelles considerava fattibile raggiungere da sé questi obiettivi; ora, a seguito degli spintoni di cui sopra, fanno la loro comparsa gli international credits. La novità rispetto ai piani precedenti – dice la Commissione – è «la flessibilità», che intacca il sistema Ets (il mercato delle emissioni, una delle poche risorse proprie di cui l’Ue è dotata), e che apre ai crediti internazionali: una fetta (il 3 per cento) può essere realizzata, invece che tagliando le emissioni proprie, sostenendo progetti di riduzione in paesi terzi; un’azienda può – invece di inquinare meno – comprare prodotti finanziari.
Von der Leyen e la sua squadra dicono che il tutto è frutto di interlocuzioni con governi, parlamento Ue, stakeholders, e che tiene conto degli studi di impatto scientifici prodotti dallo European Scientific Advisory Board on Climate Change. Ma in realtà proprio quest’ultimo aveva dato l’allerta contro il sistema dei crediti internazionali: non solo se ne può fare a meno realisticamente, ma utilizzarli «farebbe perdere importanti opportunità per modernizzare l’economia Ue e dirotterebbe risorse dagli investimenti interni, oltre a minare l’integrità ambientale».
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