Nel suo ultimo Consiglio europeo, Angela Merkel conferma i suoi errori. La sua strategia pragmatica ha consentito che la crisi dello stato di diritto a Est arrivasse al culmine con Polexit, e oggi la cancelliera persevera. Invece di strigliare o di smascherare il governo polacco perché sottomette all’esecutivo la magistratura, fa il suo gioco: avalla l’argomento dei sovranisti, dice che Polexit è il sintomo di una tensione su quanta sovranità gli stati vogliono cedere all’Ue.

Dice che «il problema riguarda anche altri». E infine azzoppa pure i tentativi delle istituzioni europee di far rispettare lo stato di diritto: «Una cascata di dispute legali davanti alla Corte di giustizia non è la soluzione», dice. Parola d’ordine: «Compromesso».

Oggi i capi di stato e di governo avevano da affrontare due crisi ingombranti. Quella dei prezzi dell’energia è rinviata nelle parti decisive; quanto a Polexit, fosse stato per Berlino sarebbe stato meglio non parlarne proprio. Interessante è il modo in cui queste due partite politiche si intrecciano. La strategia della cancelliera, orientata al compromesso e dettata da priorità economiche, finisce ancora una volta per subordinare il rispetto dei diritti ad altri interessi. Ora ci sono quelli energetici, e anche la Francia la segue su quella via.

La crisi dei diritti

Quando questo stesso consiglio, a luglio 2020, ha discusso dell’indebitamento comune, l’idea di vincolare i soldi al rispetto degli standard democratici è rimasta un vago impegno. Questo anche perché la Germania, che coi paesi dell’est ha una interdipendenza asimmetrica perché lì hanno sede le sue manifatture automobilistiche, ha sempre spinto per il compromesso. Se a novembre scorso è stato approvato il meccanismo di condizionalità tra fondi e stato di diritto, è per la tenacia dell’Europarlamento e di paesi come l’Olanda, anche oggi la più agguerrita. Ma durante la presidenza tedesca, quando Budapest e Varsavia hanno puntato i piedi con il bluff del veto sui fondi, Merkel ha accordato loro di lasciare quel meccanismo sulla carta. Per questo oggi l’Europarlamento sfida la commissione davanti alla Corte Ue, e perciò l’Olanda, parlamentari nazionali inclusi, dà battaglia. Intanto però, a seguito di questa prolungata strategia del compromesso tedesca, la crisi è arrivata al culmine.

Lo scambio sull’energia

Una delle variabili del caro prezzi dell’energia sta anche, come ha detto oggi l’alto rappresentante Josep Borrell, nelle «partite geopolitiche». Il riferimento è alla Russia, che diminuendo o aumentando le forniture di gas all’Europa può condizionare i prezzi e usa questo potere di ricatto. Tuttavia Merkel fa finta di nulla e difende il gasdotto Nord Stream 2. Visto che quel progetto, così come i legami con Mosca, sono invisi alla Polonia, la cancelliera nel pieno della crisi Polexit ha pensato bene di rassicurare Varsavia: ha promesso «compromessi», in cambio anche di più distensione sul gas russo. Il premier polacco ha presente i due livelli, non a caso nella sua arringa davanti all’Europarlamento ha citato più volte Nord Stream 2.

L’Eliseo approfitta della crisi dei prezzi per condurre la sua battaglia pro-nucleare. Bruxelles deve decidere come classificare questo tipo di energia (è la “tassonomia”) e, fosse per Parigi, sarebbe da considerare green; il che per gli ambientalisti, ma pure per governi come quello tedesco, è indigeribile. Emmanuel Macron è riuscito comunque a portare un gruppo di paesi dalla sua parte, e in questa decina, perlopiù dell’Est, c’è proprio la Polonia. La commissaria Ue Mairead McGuinness ha dovuto dire alla vigilia del vertice che la tassonomia sarà rinviata: viste le pressioni, Bruxelles decide di non decidere. Oggi, prima del Consiglio, Macron e Morawiecki si sono incontrati in aeroporto. Stando all’Eliseo, avrebbe comunicato le sue preoccupazioni, concludendo – a ogni modo – che va trovato un compromesso.

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