A fermare Marine Le Pen non c’è più nessuno, anzi il resto della destra la rincorre. Le elezioni amministrative – regioni e dipartimenti – che si terranno in Francia in due turni, questa domenica e la successiva, «sono vissute con scarsa passione» dai francesi, dice il politologo Yves Sintomer. Nonostante ciò sono cruciali, per almeno due motivi. Il primo è che rappresentano per la classe politica un test in vista delle elezioni presidenziali che avranno luogo nel 2022. L’altra ragione è che per la prima volta da vent’anni, dai tempi di Le Pen padre, non ci sarà più alcun cordone sanitario ad arginare l’avanzata lepeniana. Il Rassemblement national sta per conquistare la prima regione.

Addio fronte repubblicano

Nel 2002, a dispetto di ogni previsione, Jean-Marie Le Pen arriva al secondo turno delle elezioni presidenziali. Il Front national è all’epoca ciò che 14 anni dopo sarà Donald Trump negli Usa: l’exploit che né i sondaggisti né i media avevano messo in conto. In quella occasione, la politica a Parigi sperimenta il “fronte repubblicano”, antesignano del cordone sanitario di oggi. Attorno al gollista Jacques Chirac, in testa al primo turno (il 20 per cento di voti lui, il 17 per cento a Le Pen), si coalizzano le altre forze politiche che difendono i valori della République dalla minaccia dell’estrema destra. Il socialista Lionel Jospin, terzo per voti al primo turno, al secondo sostiene Chirac per «fare barriera» contro Jean-Marie Le Pen. L’operazione riesce: Chirac, con il fronte repubblicano e con ben l’82 per cento di voti, sconfigge il Front national e guadagna l’Eliseo. In questa estate 2021 lo schema si rompe. Niente più alleanze ad excludendum al secondo turno, niente barriere contro Le Pen figlia: stavolta ognuno compete per sé. È forse l’ennesimo segnale di un processo di “normalizzazione” dell’estrema destra? «Senz’altro è una dimostrazione del successo di questa operazione condotta da Marine Le Pen», dice il politologo Yves Sintomer, che fa la spola tra l’università di Parigi 8 e quella di Oxford. «Ma è anche un bilancio del fallimento altrui: evidentemente il cordone sanitario non ha funzionato veramente, inoltre c’è la difficoltà delle forze politiche nell’affermare un’identità stabile. Perciò ora i dirigenti pensano che sia meglio affermare le proprie posizioni». Ma se anche al secondo turno ognuno rimane sulla sua posizione, potrà avvantaggiarsene il Rassemblement national. Finora, non ha mai governato una sola regione. Ora «è ben possibile che ne guadagni una o persino tre».

La regione laboratorio

La miglior candidata a diventare l’avamposto di Le Pen in queste elezioni è la regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra (Paca). Il 20 e 27 giugno i francesi sceglieranno 1.757 consiglieri regionali e 4.056 dipartimentali. Nel corso degli anni, era stata la sinistra a far cambiare direzione al paese a livello locale: dagli anni Ottanta, aveva cominciato la presa delle regioni e sottratto terreno alla destra. Nel 2010 quasi tutti i consigli regionali erano orientati a gauche. Ma da allora la tendenza si è invertita, e nel 2015 gli enti locali hanno virato verso destra. Finora però nessuna bandierina del Rassemblement National, che rappresentava la destra più estrema, ha mai presidiato una regione. Tra le dodici regioni metropolitane in attesa di cambiare governo, la “Paca” è la prima candidata a essere governata dai lepeniani. Nel 2015 fu solo il fronte repubblicano ad arginarli, ma stavolta? Tra l’altro la strategia persuasiva del Rassemblement è ad ampio raggio, prova a sedurre anche i moderati con un maquillage politico. Marine Le Pen di recente è stata in tour a Tolone a sostegno di Thierry Mariani, che ora è il suo candidato nella regione Paca ma che guarda caso è un ex ministro dei Républicains; l’avversario, Renaud Muselier, militava con lui (e con Nicolas Sarkozy) negli anni Ottanta e Novanta. La leader ha arringato la folla a colpi di «force tranquille»; quella forza tranquilla che viene dal vocabolario socialista di François Mitterrand ai tempi delle presidenziali del 1981. Quella di Le Pen è una strategia di normalizzazione, o – come dicono i francesi – di dédiabolisation. Basterà a fare incetta di voti? Proprio a Tolone nel 1995 – erano ancora i tempi di Jean-Marie e del Front National – i lepenisti elessero il primo sindaco, Jean-Marie Le Chevallier. Questi territori sono già il feudo del Rassemblement e i sondaggi recenti dicono che la chance di prendere il governo della regione stavolta, senza neppure il fronte repubblicano a fare da argine, è schiacciante.

Verso le presidenziali

Emmanuel Macron sa bene che questo voto è un test in vista delle presidenziali e infatti, anche se sostiene di non fare campagna elettorale in prima persona, guarda caso è in giro per il paese tra un evento e l’altro e fa capolino sui luoghi strategici con personaggi pop come l’attore Fabrice Luchini. Mentre Le Pen fa di tutto per non essere demonizzata, l’attuale presidente, che punta a un ennesimo mandato, la rincorre a destra. Da tempo ormai i suoi ministri nei dibattiti tv sorpassano Le Pen in tema di rapporti con il mondo islamico e assieme all’Eliseo virano verso derive securitarie. Secondo Sintomer questa manovra ha a che fare anche con la debolezza a sinistra: «Macron ha fatto una scelta tattica», dice il politologo. «Pensa che la sinistra, ancora disunita, non rappresenti un pericolo. Considera persi e inoffensivi quegli elettori, mentre si spinge verso destra, dove sa che potrebbe avere competitor forti». Xavier Bertrand, ex portavoce di Sarkozy ed ex ministro, vuole candidarsi alle presidenziali, schierato a destra ovviamente; intanto punta a buoni risultati alle amministrative.

Pandemia e passioni spente

Nel frattempo la sinistra tradisce le aspettative del suo elettorato ancor prima del voto. «Si presenta completamente divisa in tre blocchi, i socialisti, i verdi e la sinistra della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Tutti i sondaggi suggeriscono che gli elettori di quell’area vorrebbero l’unione, e che se così fosse ci sarebbero ottime chance di vittoria in una maggioranza di regioni» dice Sintomer. Ma niente da fare: «Pur di competere per vedere chi avrà più chance alle presidenziali, la sinistra rischia davvero di essere spazzata via in queste amministrative». C’è poi la variabile dell’astensione. «Tradizionalmente – dice l’antropologa Lynda Dematteo dell’Ehess di Parigi, esperta proprio nei populismi di destra – l’astensione finisce per favorire l’estrema destra. Queste elezioni non hanno suscitato molto coinvolgimento». Yves Sintomer legge le attitudini dei francesi nello stesso modo: «Non c’è molta passione politica né grande mobilitazione». Una delle ragioni è di lungo corso, e riguarda «una crisi strutturale della politica, una diffidenza generalizzata verso i partiti e la classe politica». Ma secondo Sintomer anche la pandemia è un fattore che spiega il disimpegno. «La crisi da Covid-19 ha esaurito quasi tutti, ora la gente è sollevata di poter tornare a uscire e non pensa a fare politica». Eppure, proprio questa crisi esige di essere governata e richiede risposte politiche. «In teoria è proprio così, a maggior ragione ora che è evidente la malagestione di Covid-19 da parte del governo. Quando l’epidemia già dilagava in Italia, non è stato tempestivo. Nella terza ondata ha aspettato troppo prima di chiudere; avrebbe potuto evitare molti morti. Ma oggi la classe politica francese di fronte alla crisi è incapace di una visione forte alternativa».

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